La questione della sicurezza è ormai da tempo una questione centrale nella società italiana. Le statistiche europee ed italiane degli ultimi anni evidenziano da un lato una diminuzione degli omicidi, ma dall'altro un incremento preoccupante di fatti di violenza legati per lo più alla cosiddetta micro criminalità, con scopi di scippo, rapina o stupro, ma stanno aumentando anche i fenomeni di bullismo e le aggressioni dovute a “futili motivi” come può essere la lite per un parcheggio o una precedenza, per uno sguardo troppo prolungato, una lite condominiale o semplicemente senza alcun motivo preciso. Sempre più diffuse, inoltre, le aggressioni contro le donne, con atti che vanno dalle "semplici" molestie, allo stalking, allo stupro, fino ad arrivare all'omicidio. Basta aprire la mattina il giornale per capire che nessuno di noi è escluso da questi rischi.
Gli scenari dell'insicurezza urbana stanno diventando, giorno dopo giorno, uno degli elementi fondamentali del nostro disagio sociale e personale. Nonostante i numerosi interventi legislativi e operativi volti a contrastare i fenomeni di micro e macro criminalità, la sensazione diffusa è che le nostre città siano meno sicure di un tempo e che il degrado della convivenza sociale sia inarrestabile.
Oltre il 50% dei cittadini italiani ha paura ad uscire da solo la sera o a frequentare certe zone.
La domanda di sicurezza non è riconducibile a uno specifico evento scatenante, ma alla complessità situazionale: mutamenti sociali in genere, aumento della portata migratoria, crisi economica e sociale, crescita della microcriminalità, maggior visibilità dei fenomeni di inciviltà e di devianza, ecc.
I dati registrati negli ultimi anni sono la drammatica espressione di un fenomeno di insicurezza che specialmente nelle aree urbane e in particolar modo nelle periferie, deriva ai cittadini soprattutto la sensazione di essere lasciati in balia dell'illegalità e questo è fonte di disagi, paure ed esasperazioni spesso incontrollabili.
Chi ha subito un'aggressione di qualsiasi genere, oltre ai danni fisici si ritrova a dover far i conti con conseguenze psicologiche che sono altrettanto, se non più gravi, di quelle fisiche e che in alcuni casi peggiorano pesantemente la sua vita sociale, il suo atteggiamento verso gli altri e la sua autostima. Nei casi più gravi si può arrivare a depressione, fuga dalla realtà, abuso di alcol e droghe ed altre antipatiche conseguenze.
Se poi la violenza è protratta nel tempo (parlo in questo caso delle violenze familiari, dei casi di bullismo o dello stalking), l'esposizione continua alle minacce, alla paura e alla violenza (non solo fisica, ma anche psicologica od economica) causa alterazioni durature nella personalità e nella sfera emotiva che possono portare all'esasperazione dei disturbi visti prima, fino a portare ad esplosioni di violenza incontrollata, a fobie di vario genere, a improvvise crisi di panico e persino al suicidio.
In Italia la prevenzione contro gli atti di violenza non dovrebbe essere un problema del cittadino, in quanto il nostro ordinamento giuridico prevede che sia lo Stato a farsene carico. Secondo questo modello, in teoria, il cittadino che venga aggredito o minacciato, dovrebbe semplicemente richiedere l'intervento delle forze dell'ordine e lasciare che siano loro a risolvere il problema.
Purtroppo i risultati di questo modello sono fallimentari visto che, tra l'altro, l'orientamento della nostra legislazione è storicamente orientato in senso repressivo e poco o nulla in senso preventivo.
Un tragico esempio sono le centinaia di individui brutali e pericolosi, quasi sempre ben noti alle forze dell'ordine, i quali girano indisturbati creando infiniti guai, ma contro cui è possibile fare ben poco perché le nostre leggi non consentono, di fatto, l'adozione di provvedimenti restrittivi contro chi abbia commesso reati "minori" (come per esempio l'avervi spaccato la faccia, o l'avervi tormentato per mesi).
Come testimoniano le decine di “tragedie annunciate”, la legge non interverrà in senso restrittivo su questi balordi fintanto che uno di essi non decida di ammazzarvi. Solo allora la legge si occuperà del vostro carnefice e lo metterà in galera per un po' di tempo, ma per voi non farà più molta differenza.
Parlare di sicurezza urbana vuol dire parlare di un tema complesso che ha bisogno di risposte variegate e non semplici, o peggio semplicistiche. La repentina e complessa evoluzione sociale che ha coinvolto il nostro paese ha, di fatto, rotto alcuni equilibri fondamentali allo sviluppo di una normale percezione positiva nei confronti di coloro che compongono la nostra società.
L'aumento dei flussi migratori ha portato alla convivenza all'interno delle città di migliaia di persone di diverse culture, abitudini e stili di vita e, se da un lato questa vicinanza ha ottenuto risultati di integrazione, di scambio e di crescita culturale, è altresì vero che ha determinato lo scatenarsi di manifestazioni di insofferenza, incomunicabilità e di razzismo, con la conseguente esplosione di sentimenti di inquietudine, diffidenza e pericolo.
Il disagio è evidente, la paura cresce giorno dopo giorno e trascina verso forme di auto esclusione, con la conseguenza di vivere in una prigione materiale e psicologica (non esco dopo una certa ora, chiudo con il chiavistello porte e finestre, non frequento il parco, non mi reco in quel locale, non passeggio da solo, ecc.). Rimanere prigionieri della città metropolitana è una delle più grandi contraddizioni dell'uomo moderno con la inevitabile conseguenza di vedere sempre più limitata la propria libertà di azione e di movimento.
Le tipologie di violenza per le quali si riscontra un elevato numero di reati sono quella fisica, quella sessuale e quella psicologica. Vittime della maggior parte degli atti violenti sono spesso quelle categorie sociali definite deboli e cioè: bambini, anziani, adulti menomati e donne che possono essere facilmente sopraffatte perché si trovano spesso in condizioni di inferiorità fisica, morale od economica.
Un altro fenomeno interessante è l'allargamento delle cosiddette “categorie a rischio”. Se fino a qualche tempo queste erano limitate a ben determinate professioni (militari, forze dell'ordine, guardie giurate, gioiellieri, ecc.) ora includono anche lavori apparentemente tranquilli come: benzinai, baristi, bigliettai, impiegati a contatto con il pubblico, infermieri, operatori sociali, ecc...
Paradossalmente, un benzinaio o una barista, in determinate condizioni, sono molto più a rischio di un militare o di un poliziotto! Almeno questi ultimi sono inquadrati in un'organizzazione volta a tutelarli e coordinarli, sono armati ed hanno (o dovrebbero avere) una preparazione adeguata a fronteggiare pericoli e complicazioni.
Cosa si può' fare?
Come suggerisce un vecchio adagio latino: "ognuno è artefice delle sue fortune" ed anche nel settore della sicurezza personale si impone una riflessione sulla necessità di modificare alcuni modelli comportamentali non più compatibili con gli attuali scenari di vivibilità delle nostre zone urbane.Non c'è nessuna ragione di vivere nella paura della criminalità e della violenza, tuttavia vi sono giustificati motivi per prendere le precauzioni necessarie per non farsi cogliere impreparati, o addirittura per non favorire eventuali azioni criminali nei nostri confronti.
La miglior forma di difendersi contro il crimine e la violenza è la prevenzione, cioè la messa in atto di una serie di misure, azioni, comportamenti e insegnamenti, utili a ridurre il rischio di essere coinvolti in simili eventi.
Quello che manca, però, è una cultura e una tecnica della sicurezza che permettano di affrontare il problema nella sua globalità.
La prima prevenzione viene dalla conoscenza e purtroppo anche qui dobbiamo scontrarci con una desolante realtà: l'informazione è scarsa, frammentaria e spesso sbagliata o fuorviante, così il cittadino rimane confuso e senza indicazioni precise riguardo ad un sano e realistico comportamento preventivo.
Si confondono la sicurezza personale e l'autodifesa con l'acquisto di un'arma, di un cane feroce o sull'apprendimento di qualche tecnica alla “Karate-Kid” che in realtà non sono altro che soluzioni parziali e valide solo in determinate situazioni e contesti.
La sicurezza personale non è una conoscenza congenita, ma va imparata ed applicata giornalmente.
Costruire e migliorare la propria sicurezza personale vuol dire innanzitutto assumere avere un atteggiamento mentale adeguato che consenta di poter acquisire la capacità di individuare le situazioni di potenziale pericolo e saper gestirlo per reagire nel modo più adeguato.
Le aggressioni non nascono mai dal nulla, non sono “fulmini a ciel sereno” ma l'ultima fase di un processo lungo e articolato, per questo è importante conoscerne le cause, la dinamica e i rituali, come queste si sviluppano e come e quando sia possibile ed opportuno agire per interrompere questo processo.
Questo non si può improvvisare e non basta il comune buon senso, ma va imparato.
La “tecnica della sicurezza” non è difficile ne impegnativa e dovrebbe far parte del bagaglio culturale “di base” di ogni cittadino, così come lo sono il guidare l'automobile od usare il computer.
La stragrande maggioranza delle “disgrazie” che si leggono sul giornale si sarebbero potute evitare con un comportamento adeguato e invece, quasi sempre, è lo stesso cittadino che non solo si caccia in spiacevoli situazioni, ma sembra fare tutto il possibile per favorire i malintenzionati!
Oltre il 90% delle situazioni a rischio di aggressione può essere risolto in maniera pacifica e senza rischi, a patto, però, di avere le opportune conoscenze e mettendo in atto i giusti comportamenti.
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