lunedì 29 giugno 2015

Il Metodo O'Neill



Dermot "Pat" O'Neill fu un detective della Shanghai Municipal Police negli anni 30 del XX secolo e fu pupillo del colonnello E.W. Fairbairn da cui imparò il famoso metodo di Close Quarter Combat.
Spinto dallo stesso Fairbairn, O'Neill iniziò a praticare lo Judo al Kodokan di Tokio, la "Mecca" del Judo mondiale, dove divenne rapidamente uno dei più forti e temuti combattenti.
Quando iniziò la II Guerra Mondiale, O'Neill collaborò, in veste di agente di collegamento, con la resistenza cinese e da questi apprese una forma molto essenziale e brutale di Kung-fu, finalizzata a scopi militari.
Quando frequentava il Kodokan di Tokio, O'Neill ebbe modo di conoscere il prof. Hironori Otsuka, fondatore del Wado Ryu Ju-jitsu Kempo e ne frequentò a lungo la palestra, imparando i fondamenti di questo formidabile stile di Karate.
Nel 1943 O'Neill divenne istruttore di close-combat della famosa Brigata del Diavolo che si sarebbe poi coperta di gloria durante l'invasione dell'Italia.

O'Neill integrò il Metodo di Fairbairn con diverse tecniche e strategie del Karate Wado Ryu, del Kung-fu cinese (metodo Chi-Chi Sao) e dello Judo, ottenendo un sistema di lotta particolarmente adatto alle truppe d'assalto e al combattimento contro più avversari provenienti da diverse direzioni.
Questo nuovo metodo era più complesso del Sistema di Fairbairn, ma formidabilmente efficace nelle fasi caotiche ed altamente stressanti dei combattimenti in spazi ristretti (trincee, vicoli urbani ed interno degli edifici).

La genialità del Metodo O'Neill fu però l'integrazione delle tecniche a mani nude con l'arma da fuoco individuale, la baionetta e il coltello da combattimento. Le posizioni, le tecniche e i principi erano gli stessi, sia che si usasse il fucile piuttosto che il coltello o che si fosse disarmati, di modo da facilitare enormente sia l'apprendimento del Metodo che la sua messa in pratica. Questo era fondamentale nelle fasi concitate ed altamente stressanti di uno scontro a distanza ravvicinata.



Dopo lo sbarco ad Anzio, le truppe alleate furono bloccate da una linea difensiva tedesca molto ben congegnata, la cosiddetta Linea Gustav. Nonostante i pesanti bombardamenti aerei ed una marcata superiorità in uomini e mezzi, tutti gli assalti alleati furono respinti sanguinosamente. Fu qui che intervenne la Brigata del Diavolo che in un solo assalto notturno sfondò la Linea Gustav in più punti, costringendo i tedeschi a ritirarsi.
Giunti di sorpresa a ridosso delle trincee nemiche, gli uomini della Brigata del Diavolo impegnarono i tedeschi in violenti combattimenti corpo a corpo e qui emerse la formidabile efficacia del Metodo O'Neill. Nel giro di sole due ore le forze tedesche furono sbaragliate e il fronte sfondato, costringendo il resto delle forze nemiche ad una precipitosa ritirata per non rimanere circondati.
I comandi alleati rimasero così impressionati che adottarono il Metodo O'Neill per tutte le loro forze speciali, usandolo come insegnamento standard fino al 1991. Attualmente il Metodo O'Neill è usato dagli uomini della famosa Delta Force americana.

domenica 22 marzo 2015

La forza del numero.

Fa impressione l'episodio di cronaca capitato pochi giorni fa, dove un vigile è stato aggredito e malmenato, per fortuna senza gravi conseguenze, da un gruppo formato da sei facinorosi.


Questo dimostra che anche nella tranquilla Trento i tempi sono ormai cambiati e si deve fare i conti con una nuova realtà (anche se a dire il vero è già da diversi anni che questa realtà sta prendendo gradualmente piede).
I cittadini e le FF.OO. devono fronteggiare il fenomeno di una micro-criminalità sempre più diffusa e persistente che probabilmente è stata sottovalutata per troppo tempo, forse perchè "micro".
I tipici balordi non commettono grandi crimini, ma sono sempre più numerosi, sempre più spavaldi e sempre più aggressivi, favoriti da un pericoloso lassismo legislativo e da una buona dose di impreparazione e di buonismo di facciata dei "vertici" che dovrebbero invece contrastare prontamente e decisamente questa situazione. Purtroppo gli strumenti legislativi e giuridici sono carenti e a farne le spese sono i cittadini e le stesse FF. OO.

Senza entrare troppo nei particolari (mancano troppi dati) e senza voler criticare il comportamento del vigile che ha subito l'aggressione, cercherò di fare una breve analisi dell'episodio.
Le brave persone hanno solitamente riguardo e rispetto i cosiddetti "tutori dell'ordine", cioè per chi è pagato per vigilare sulla loro sicurezza e sul rispetto delle regole perchè hanno imparato che il loro compito è basilare per ogni tipo di convivenza civile... Altrimenti sarebbe una giungla!
Il balordo, invece, li considerà semplicemente dei rompiballe, degli ostacoli fastidiosi che, se le condizioni sono favorevoli, è meglio eliminare.

Credo che l'errore principale del vigile sia stato quello di sottovalutare la cosiddetta "forza del numero". Anche se si fosse trattato di sei ragazzini, si sarebbe sempre trattato di sei persone contro una. Il "branco" moltiplica le forze, rende eroi anche i più timorosi e soprattutto toglie le inibizioni e il senso di responsabilità. Il branco "trascina" anche le persone più tranquille e rispettose a comportamenti talvolta bestiali ed efferati che mai e poi mai commetterebbero se fossero da soli. Quante volte si legge sui giornali di stupri di gruppo o di pestaggi bestiali commessi da "bravi ragazzi"... E' la tipica logica del branco!
Dunque, PRIMA di approcciare il gruppo, l'agente avrebbe dovuto richiedere appoggio. Bastava anche UN solo agente per inibire di molto la carica psicologica dei facinorosi, aumentare quella degli agenti e rendere più complicata e rischiosa l'aggressione, riducendo quindi drasticamente le probabilità della sua messa in pratica. Molto probabilmente il gruppo avrebbe "rumoreggiato" un po' e poi si sarebbe dileguato. Come dice dice il proverbio: "uno fa per uno e due fanno per tre!".

Durante l'intervista l'agente ha raccontato anche di aver cercato in tutti i modi di non dare spalle a nessuno dei contendenti. Se in molti casi questo è vero, contro un gruppo di SEI individui che ti sciamano attorno la cosa diventa praticamente impossibile ed entrano in gioco ben altri fattori, molto più importanti e decisivi che purtroppo l'agente, stando all'intervista, non conosceva.

Con un corretto addestramento ed un'adeguata preparazione tattica e psicologica è possibile però affrontare con successo questo tipo di situazioni. Naturalmente per "successo" intendo il riuscire ad allontanarsi velocemente e senza troppi danni dal luogo dell'aggressione. Sei avversari sarebbero troppi anche per Ercole in persona!

Le tecniche e le strategie da adottare contro più avversari o nel mezzo di una folla fanno parte del curriculum di base dello studente di Gutter Fighting e se ben allenate ed applicate permettono di compiere il "miracolo" di farci uscire indenni (o quasi!) da queste scabrose situazioni.

La violenza fra fantasia e realtà

L'autodifesa fisica deve essere sempre l'ultima, disperata spiaggia, la nostra extrema ratio quando tutti i nostri tentativi di prevenzione, elusione e de-escalation  hanno fallito e, soprattutto, non avete nessuna via di fuga (che altrimenti sarebbe la prima opzione!).
Anche il Codice di Procedura Penale è chiaro riguardo all'uso della forza per l'autodifesa e pone precisi paletti e cioè: impossibilità di allontanarsi o fuggire, percezione di pericolo immediato per la propria incolumità o per quella dei propri cari, proporzionalità fra offesa e difesa (ad esempio non posso rispondere ad uno schiaffo con un colpo di piccone!). Fuori da questi paletti non si può più dire di aver subito un'aggressione, ma si sarà invece perseguiti per il reato di rissa, eccesso di difesa o aggressione.
Non sto parlando dunque di “maschie disfide” fra giovincelli sovraccarichi di alcol e ormoni, e nemmeno di quelle fra automobilisti inferociti che cercano di scaricare sul primo che capita la loro giornata disastrosa o loro frustrazioni, sto parlando invece dei casi in cui ci troviamo di fronte ad un'aggressione di tipo predatorio, cioè dove ci sono una o più persone fortemente decise e determinate a mandarci all'ospedale... O all'obitorio!

Il Gutter Fighting non è l'ennesima arte marziale o un insieme raffazzonato di tecniche più o meno fantasiose, ma il frutto di uno studio eseguito da medici, fisiologi, esperti di arti di arti marziali e operatori "sul campo", quali: militari delle truppe speciali, spie, guerriglieri, assassini prezzolati e poliziotti. Ma la cosa più importante è che le sue tecniche e le sue strategie sono il frutto di una spietata selezione eseguita in maniera scientifica dopo il "debriefing" di ogni singolo scontro REALE. Solamente le tecniche e le strategie REALMENTE EFFICACI nelle più svariate situazioni sono rimaste nel metodo, tutto il resto è stato inesorabilmente scartato.

Affinchè un sistema di autodifesa funzioni nel "mondo reale" deve soddisfare ad alcune condizioni imprescindibili, indipendenti dal metodo o dallo stile di lotta impiegato. Chi pratica arti marziali o sport da combattimento, oppure ha frequentato un corso di autodifesa, dovrebbe pensare per un attimo alle tecniche apprese e porsi queste domande.

Potrò eseguirle sotto la pressione del forte stress adrenalico conseguente ad un'aggressione predatoria?
Quando la nostra vita o la nostra integrità fisica sono in pericolo, il corpo reagisce con una potente scarica di noradrenalina e con l'aumento della frequenza cardiaca. Il corpo è soggetto a rigidità muscolare e tremiti ed ogni nostra azione, anche la più banale, diventa frustrante e problematica.
La voce diventa più acuta e stridula, si inizia a sudare, la respirazione diventa affannosa e la bocca si secca, ma soprattutto si subisce un vero e proprio "blocco mentale". Mille pensieri e recriminazioni si affollano nella vostra mente: "Ma perchè a me?", "Questo è matto, cosa faccio adesso?", "Che scemo sono stato, non potevo andarmene finchè potevo?"... Ma non ci potrà essere risposta perchè gli strati più esterni ed evoluti del nostro cervello, quello Razionale e quello Limbico, vanno in black-out e rimane attivo solo lo strato più interno, elementare e primitivo, il cosiddeto Cervello Rettiliano. La risposta più frequente sarà il cosiddetto "congelamento", ovvero si rimarrà immobili e bloccati, con tutti i muscoli del corpo tesi allo spasimo e le mani tremolanti.
I praticanti di sport da combattimento non pensino di cavarsela (siamo abituati a "combattere"!), lo stress da combattimento (quello vero, non quello regolamentato e sportivo) non è nemmeno lontanamente paragonabile allo stress da competizione.
Adesso pensate per un momento alle eleganti e sofisticate prese e controprese che avete imparato, o alle altre mirabolanti tecniche, così belle da vedere in palestra... Sarete in grado di eseguirle in questi frangenti?

Funzioneranno contro un avversario più abile, più giovane, più grosso, più forte e più in forma di me? Contro un avversario incazzato che mi si avventa contro in maniera selvaggia, carico di violenza ed aggressività, determinato a "spaccarmi le ossa"?
Funzioneranno in giacca e cravatta? Oppure coi jeans o la gonna stretta?

Funzioneranno se sarò fuori forma, malato, o ferito?

Funzioneranno in una stanza angusta, in un garage ingombro d'auto e attrezzi, in un ristorante pieno di sedie, mobili e tavolini, in uno stretto corridoio, oppure in ascensore?

Funzioneranno su un marciapiede cosparso di detriti o di qualsiasi altro ostacolo quale: vetri, pietre, veicoli parcheggiati, bidoni, ecc..?

Funzioneranno contro un attaccante che è sotto l'effetto di stupefacenti, che è ubriaco, che è folle?... O che eventualmente è sotto l'influsso di due o tutte queste ipotesi?

Funzioneranno contro due, tre o più attaccanti?

Funzioneranno contro un avversario armato?

Ci sarebbero alcune altre condizioni da esaminare, ma penso che queste siano sufficienti per una ragionata analisi.

Nessun metodo, per quanto eccellente, sarà mai perfetto. E non ci possono essere garanzie quando si tratta di un argomento così imprevedibile, caotico, e pericolosamente rischioso come uno scontro fisico. Tuttavia, ci sono dei sistemi maturati, sperimentati ed affinati in centinaia di azioni belliche, dove in palio non c'era una medaglia o la fama sportiva, ma semplicemente la propria pelle!
Questo li distingue e li rende la miglior strada da percorrere quando si deve decidere cosa allenare e cosa utilizzare quando la vostra vita o quella di coloro che amate è in serio pericolo. Questi metodi sono stati ideati, affinati e sperimentati in maniera da rispondere positivamente alle domande di questo articolo.

Siate reali.

mercoledì 19 novembre 2014

Bullismo: seconda parte

 

Per i genitori: come riconoscere i sintomi di una vittima di bullismo.

I bambini che subiscono il fenomeno del bullismo possono assumere alcuni dei seguenti comportamenti:

  • Improvviso rifiuto ad andare a scuola;
  • Non riescono a concentrarsi nei compiti per casa;
  • Parlano poco di ciò che accade a scuola;
  • Hanno pochi amici, anche se dicono di averne molti;
  • Perdono spesso oggetti di cancelleria;
  • Dormono male;
  • Inventano diverse scuse per non andare a scuola;
  • Sono infelici e insoddisfatti;
  • Possono presentare spesso lividi, graffi, abiti strappati;
  • Chiedono soldi di continuo/Dicono spesso di perdere soldi;
  • Compiono strani percorsi per arrivare a scuola;
  • Presentano scoppi di rabbia eccessivi;
  • Marinano la scuola;
  • Commettono piccoli furti.

A scuola invece possono comportarsi nei modi seguenti:

  • Rimangono spesso da soli durante la ricreazione;
  • Vengono esclusi quando si organizzano giochi di squadra;
  • Peggioramento del rendimento scolastico;
  • Spesso sono depressi o spaventati;
  • Stanno sempre vicino agli insegnanti;
  • Non partecipano alle discussioni di classe;
  • Vengono preso in giro di continuo dai compagni (che spesso riferiscono trattasi solamente di un gioco).

Una cosa da tener sempre presente è che la vittima spesso lo nasconde ai genitori e agli insegnanti. A volte perché ha paura di quello che potrebbe fargli il bullo una volta scoperto, a volte perché ha paura delle reazioni dei genitori.

Per i ragazzi: come capire quando si sta diventando vittime di bullismo.

  • ricevi insulti o minacce;
  • ti spingono;
  • ti danno calci e pugni;
  • ti fanno cadere
  • ti danno dei soprannomi antipatici e ti prendono in giro;
  • diffondono voci maligne su di te;
  • ti offendono per la tua razza, per il tuo sesso o per la tua religione;
  • fanno sorrisetti e risatine mentre stai passando;
  • parlano "in codice" se sei presente;
  • ricevi sms, e-mail e telefonate offensive;
  • ti ignorano e ti voltano le spalle se ti avvicini;
  • ti costringono a fare cose che non vuoi;
  • ti rubano o nascondono i libri, la merenda, la paghetta o le altre tue cose.

 

Non è bullismo se…

Non si tratta di bullismo se due ragazzi o gruppi di ragazzi litigano fra loro o si picchiano perché, in questi casi, esiste una parità di forza. Ma soprattutto non è bullismo quando qualcuno attacca o minaccia un coetaneo con un coltello, procura ferite gravi o compie molestie o abusi sessuali, questi comportamenti sono dei veri e propri reati.

Non sottovalutare il problema

  • perché non si tratta solo di “ragazzate”;
  • perché spesso, dietro il bullismo, si celano vere e proprie azioni criminali (furti, estorsioni, vandalismi, rapine, violenze sessuali);
  • perché il bullismo danneggia non solo chi lo subisce ma anche la famiglia, gli insegnanti e gli altri ragazzi che ne sono testimoni;
  • perché è molto probabile che i bulli crescano compiendo prepotenze;
  • perché subire prepotenze può causare danni alla sfera fisica, emotiva, intellettiva e sociale della vittima.

Se ci si accorge che un bambino è vittima di bullismo, si può:

  • Coinvolgere la scuola, parlandone sempre prima con il bambino, anche se non è d’accordo. Non va posto come imposizione, ma si dovrà arrivare ad una sorta di accordo, anche se con riluttanza da parte del bambino. Questo per non farlo sentire ancora una volta vittima, stavolta dei genitori;
  • Spiegate al bambino che non è l’unica vittima;
  • Ripetete all’infinito a vostro figlio che lo amate, che siete dalla sua parte, e che non è assolutamente colpa sua se gli è successo questo (che tra l’altro è la verità!);
  • Evitate assolutamente le “spedizioni di vendetta” a casa del bullo o di parlare direttamente e in modo sgarbato ai genitori dello stesso. Il problema non si risolve, anzi, spesso i litigi tra i genitori aggravano la situazione tra i figli (i bulli diventeranno ancora più bulli e le vittime ancora più vittime);
  • Evitate di dire a vostro figlio di rispondere con altrettanto, se poi non ci riesce la sua autostima si abbasserà ulteriormente;
  • Prevedete del tempo da passare con vostro figlio, per parlare di quello che prova, o per stare semplicemente con lui;
  • Dategli dei compiti da eseguire (che siano alla sua portata) e fategli i complimenti per la riuscita, così da cercare di aumentare l’autostima;Non sgridateli se stanno andando male a scuola. Aumentereste il carico dei sensi di colpa: a nessuno piace andare male a scuola;Non date al bambino oggetti di valore da portare a scuola;
  • Chiedetegli cosa succede durante la ricreazione, fatevi vedere interessati alla sua vita;
  • Se pensate che la situazione sia veramente critica, non mandate vostro figlio a scuola finché non siete sicuri che tutto sia sistemato.
Inoltre è di fondamentale importanza insegnare al bambino delle tecniche di assertività, a riconoscere e a controllare le proprie reazioni emotive e ad misurare la propria autoefficacia in modo adeguato.

Infine, esistono dei modelli comportamentali per prevenire il bullismo e per affrontarlo attivamente quando, nonostante tutto, si diventa comunque vittime.

venerdì 7 novembre 2014

Bullismo



IL BULLISMO

Bullismo, violenza tra i banchi, teppistelli, baby-gang... Negli ultimi anni il fenomeno del bullismo si è diffuso a macchia d’olio, in tutti i gradi scolastici, anche alle elementari, e con un aumento notevole tra il sesso femminile.
Sia in televisione che sui giornali appaiono spesso articoli con questo argomento che sottolineano l’importanza della diffusione delle informazioni in merito.

Sicuramente un'informazione adeguata potrebbe, se non prevenire, sicuramente fare in modo che gli adulti di riferimento (genitori ed insegnanti) possano riconoscere subito quei comportamenti tipici delle vittime di bullismo.
Quando si parla di "vittime" bisogna inoltre tenere bene a mente che nei casi di bullismo sono vittime sia gli aggrediti che gli aggressori.

Il bullismo è un problema molto serio che non va sottovalutato, in quanto può provocare alle vittime seri problemi psico-somatici che non sono da sottovalutare. Possono infatti sviluppare sempre di più una bassa autostima, fino ad arrivare a forme di depressione, di isolamento sociale, di aggressività (identificazione con il persecutore), di rifiuto della scuola, e persino di tentativi di suicidio. Molto spesso, gli stessi bulli sono stati a loro volta vittime di bullismo.
Molti, però, parlano di bullismo a sproposito, quindi vediamo di capire bene quando siamo realmente di fronte a un caso di bullismo.

Il cosiddetto "bullismo" consiste in atti di intimidazione, sopraffazione, oppressione fisica o psicologica commessi da un soggetto “forte” (il bullo) nei confronti di uno “debole” (la vittima) in modo intenzionale e ripetuto nel tempo.

Le aggressioni possono essere di tre tipi:
  • fisiche: calci, pugni, sottrazione di beni;
  • verbali: minacce, offese, insulti, prese in giro;
  • psicologiche: esclusione, isolamento, diffusione di calunnie.
Il fenomeno riguarda maschi e femmine e si manifesta soprattutto in ambito scolastico, ma anche in strada, nei locali, nei luoghi di ritrovo e su internet. In quest'ultimo caso si parla di "cyber-bullismo" o "bullismo informatico".

E' importante sottolineare che si può parlare di bullismo solo quando questi episodi sono eseguiti da un soggetto più forte (per età, forza fisica od aggressività), sono intenzionali e ripetuti nel tempo.
Ad esempio non sono bulli due compagni di scuola che si litigano il posto in ultima fila sul pullman durante una gita, e magari vengono alle mani. Così come non è un bullo il colpevole di un furto.


GLI ATTORI DEL DRAMMA.

Il bullismo non è mai qualcosa che riguarda due persone che non si vanno a genio, ma coinvolge tutto il gruppo, la classe o l’ambito degli amici. Oltre al carnefice principale, il "bullo-capo", quello con più carisma, esistono dei "gregari" che di fatto costituiscono il gruppo di bulli e che sotto l’influenza del bullo-capo agiscono in modo prepotente.
Senza il bullo-capo non ci sarebbero i gregari, ma è vero anche il contrario: il bullo principale ha bisogno dei suoi scagnozzi, senza i quali non si sentirebbe così invincibile.
Chi ha assistito (o ha subìto) degli atti di bullismo se ne sarà accorto subito: quando il bullo è da solo non si comporta in modo tanto spavaldo come quando è spalleggiato.

Ricordate: la solitudine fa il bullo innocuo.

Ma torniamo agli altri “attori” dell’atto di bullismo. Accanto a coloro che si accaniscono sulla vittima ci sono anche i "sostenitori", cioè dei ragazzi che simpatizzano per i carnefici ma non prendono attivamente parte all’aggressione. Sono quelli che più ci fanno arrabbiare, si comportano da codardi, tifano per la squadra che vince facilmente.
Ci sono poi "i qualunquisti", cioè quelli che ignorano la scena e che, di fatto, fanno il gioco dei prepotenti.Tutta questa gente, dunque, è a favore, diretto o indiretto, dei bulli.
E la povera vittima? Non ci sono grandi sostenitori per lui, al massimo dei simpatizzanti che, senza farsi troppo notare per paura di finire sotto le grinfie dei bulli, stanno con la vittima, almeno con il cuore.


RAPPORTI PERVERSI.

Diversi studi psicologici e sociali hanno confermato quello che nel campo dell'autodifesa si sa da sempre e cioè che spesso la vittima e il carnefice in qualche modo "si scelgono”. Si è visto infatti che le vittime privilegiate sono spesso soggetti tendenti ad un carattere timido e introverso, soggetti insicuri e ansiosi, con un basso livello di autostima, che non sono assertivi e non sanno difendersi (ovvero: sono vittime passive).
Altri tipi di vittime hanno invece un carattere che non solo rispecchia quello delle vittime passive, ma anche quello dei bulli. Avendo un carattere “combinato” tra una tendenza passiva e l’altra reattiva e provocatrice, diventano una volta vittime e l’altra bulli, riproponendo con altri ciò che loro stessi subiscono.

Il bullo viene così attirato da coloro che reputa in qualche modo indifesi e li sottomette, ma è importante sottolineare che:

NON è la vittima a provocare in qualche modo il bullo, ma è quest’ultimo che viene “stimolato” proprio dall’isolamento dell’altro bambino, dalla sua apparente debolezza e dal comportamento insicuro percepito.


RICONOSCERE LE VITTIME DI BULLISMO.

Nonostante i quotidiani  fatti di cronaca,  il bullismo rimane ancora un fenomeno sconosciuto a molte famiglie. Ciò che la maggior parte dei genitori ignora non è tanto l’esistenza del problema sociale in sé, quanto il fatto che il disagio potrebbe riguardare da vicino il proprio figlio o la propria figlia.

Le vittime dei soprusi, infatti, parlano raramente con gli adulti delle violenze che subiscono. Si chiudono in se stessi, esitano a raccontare le proprie giornate, sorvolano su quei fatti che per loro rappresentano una perenne condizione di sofferenza. La ragione più evidente è che hanno paura di subire maggiori violenze per aver “fatto la spia”.

Ma a ciò si associa quasi sempre un motivo ben più sottile e per questo più difficile da superare: i bambini vittime del bullismo si vergognano della propria debolezza, di non saper reagire, di essere il bersaglio preferito di quei ragazzi che tutti considerano dei leader e, non ultimo, di essere “quel che sono”: bambini cicciottelli o occhialuti finiscono il più delle volte ad attribuire alla propria condizione fisica la responsabilità di ciò che avviene e a rivolgere per questo verso se stessi la propria rabbia.

Come dire: “sono diverso dagli altri ed è per questo che finisco vittima del bullo della scuola”. Ciò che invece i ragazzi devono imparare è che non c’è nulla che non va in loro: il bullismo è un comportamento sbagliato “a prescindere”.

Ecco allora che l’intervento della famiglia diviene determinante. Mamme e papà devono imparare a comprendere il proprio figlio più di quanto egli sappia fare da solo. Per riconoscere i segnali di un eventuale disagio, per evitare che rimanga vittima del fenomeno. Ma anche per impedire che a trasformarsi in “bullo” possa essere un giorno proprio il loro bambino.

Nel prossimo post vedremo quali sono i segnali tipici delle vittime di bullismo.

lunedì 1 settembre 2014

Armi, arti marziali e dobermann...


È sorprendente notare quanta confusione, disinformazione e false convinzioni girino attorno al concetto, apparentemente semplice, di “Autodifesa”. Capita che degli amici o dei clienti mi facciano delle domande che sottolineano questa confusione:

«Qual'è la miglior arte marziale per l'autodifesa?»

«Vorrei comprare un arma per difendere me e la mia famiglia, cosa mi consigli?»

Queste domande sono involontariamente “tendenziose”, in quanto si basano su ciò che una persona PENSA di conoscere su questi argomenti, ma che in realtà non conosce affatto. Di solito, rispondo sempre con un'altra domanda e cioè:

«Difenderti da chi e da che cosa?»

E già qui si apre un universo di possibilità che possono avere tutto o niente in comune.

«Stai parlando di un rapinatore da strada? Di uno scippatore? Di uno stalker? Di un ubriaco molesto? Oppure tua moglie sta subendo pesanti molestie da parte del suo capo o del suo datore di lavoro? O forse tua sorella è sistematicamente picchiata dal marito o tuo figlio sta subendo del bullismo durante la scuola?».

Tutti questi casi (e molti altri) accadono giornalmente dappertutto e in tutti loro si può parlare sia di violenza che di autodifesa, ma ognuno di essi è diverso, presenta problematiche diverse e va affrontato in modo diverso. Nell'autodifesa (così come in tutte le faccende di questo mondo) non esiste un unico strumento che risolva tutti i problemi, le panacee sono state inventate dagli imbroglioni solamente per vendere i loro intrugli a grulli ed illusi.

Le panacee però fanno gola, sono invitanti, come il richiamo delle sirene. Se poi alla panacea mischiamo un po' di false convinzioni, di illusioni e di disinformazione e condiamo il tutto con qualche slogan invitante, ecco che abbiamo in mano un potente strumento di pubblicità e di marketing.

Diventa l'incubo del tuo aggressore!”... “Mai più vittima!”... “Col nostro corso diventerai TU il predatore!”

Questi slogan sono tipici di molti corsi di autodifesa basati quasi esclusivamente su una risposta di tipo “fisico” al crimine e alla violenza: arti marziali, armi e gingilli più meno efficaci e più meno legali, cani feroci... Ma questo tipo di risposta è molto limitata, parziale, pericolosa e sostanzialmente fallimentare.


Se siete una ragazza e il vostro capo vi molesta pesantemente che cosa volete fargli? Gli fate un presa giapponese e gli spezzate un braccio? Gli spruzzate del capsicum negli occhi? Gli aizzate contro la vostra coppia di doberman addestrati ad uccidere? Gli rompete la testa col vostro nuovo bastone estensibile in policarbonato leggero (garantito indeformabile, tecnologia NASA®)?
Anche se moralmente posso darvi ragione e il tipastro se le meriterebbe tutte, queste soluzioni sono ovviamente impraticabili e soprattutto illegali. È evidente che esiste un'enorme sproporzione fra offesa e difesa e come minimo vi chiuderebbero in galera.

Altro esempio: se un rapinatore vi punta addosso una pistola per avere portafoglio e telefonino, cosa fate?
Magari potete tentare quelle bellissime tecniche di disarmo, dove il “maestro” faceva un semplice movimento e... Oplà! Disarmava il rapinatore e poi gli dava un bel sacco di legnate. Oppure potreste tentare un doppio calcio rotante con avvitamento o una “presa incrociata con strangolamento laterale” della lotta afro-mongola.

Belle da vedere queste tecniche... Nel clima tranquillo e sicuro della palestra... Col “rapinatore” che si comporta come un ritardato mentale e si lascia fare tutto quello che volete... Si, insomma, sembra abbastanza facile.
Personalmente, dopo trent'anni di arti marziali e di autodifesa, gli consegnerei velocemente quello che vuole, senza tante discussioni! Telefonini ne faranno altri e quanto ai soldi... Pazienza anche per quelli, anche se per quel mese dovrò stringere un po' la cintura. Di pelle invece ne ho una sola, che diamine!
Il “maestro” del super corso di tecniche militari israelo-filippine resterà deluso da questa “vigliaccheria da checche”, ma pazienza, gli passerà.

Proprio l'altro giorno, un'amica mi ha detto di essersi comprata una bomboletta di spray al capsicum. «Non si sa mai», mi ha detto, «Ultimamente mi sono capitate alcune "strizze" e allora ho deciso di prendere le mie precauzioni!»

«Magnifico!» Gli ho risposto. «Posso dargli un'occhiata?».
«Ma certo!» Mi fa lei «Aspetta un secondo...» Ed ha cominciato a frugare fra le centinaia di cose che solo una donna riesce a far stare in una borsetta.

«No, qua non c'è... Aspetta... Forse l'ho messo nella tasca interna... No... Ah, eccolo!»  

Cinquantotto secondi.
Questo è il tempo che mi sono divertito a cronometrare. E solo per trovare la bomboletta, poi questa va estratta, puntata e soprattutto va tolta la sicura.

«Sicura? Quale sicura?» ha candidamente chiesto la mia amica.

Non oso pensare a cosa gli sarebbe servita la sua bella bomboletta in caso di aggressione. Altro che bomboletta, in borsetta poteva avere anche il bazooka e non gli sarebbe servito a niente!
Dal punto di vista psicologico, quest'acquisto era stato formidabile e lei si sentiva molto più tranquilla e sicura. Devo anche ammettere che ho provato anche un po' di senso di colpa dopo avergli distrutto queste certezze, ma questo è durato solo un attimo. Sono fermemente convinto che è MOLTO meglio avere un po' di sana paura piuttosto che cullarsi nell'illusione di una falsa sicurezza.

Dunque? Armi e arti e marziali non servono a nulla? Come si fa a difendersi allora?

Eh eh eh... Per la risposta si dovrà aspettare il prossimo post!


domenica 31 agosto 2014

Trasalire e sussultare.


In questo post si parlerà di sussulti e trasilimenti e per capire meglio di cosa si tratta, diamo un'occhiata al vocabolario Treccani:

sussultare: sobbalzare bruscamente, fare un balzo per spavento, gioia o altra improvvisa emozione.
Esempi: vedendo un’ombra muoversi, sussultò; sussultava in preda a un riso irrefrenabile; all’udire quel grido sussultò d’improvviso spavento.

trasalire: sobbalzare di una persona che ha un sussulto improvviso per emozione, spavento e simili.
Esempi: al suono di quella voce trasalì; un rumore nella stanza accanto lo fece trasalire; le spalle di lei trasalirono in sussulto nervoso (Fogazzaro).

Dal punto di vista fisiologico, il trasalimento o sussulto, è un riflesso involontario che consiste in una serie di spasmi muscolari velocissimi in risposta a un rumore improvviso e intenso o a una visione inaspettata.
Quest'attività riguarda il tronco celebrale, la parte più antica e rettiliana del nostro cervello ed è quindi, come le altre attività che interessano questa zona, impossibile regolarla volontariamente.

Già negli anni '80, un giovane istruttore statunitense, Toni Blauer, cominciò a fare delle ricerche sul modo di sfruttare l'effetto di trasalimento nella difesa personale e riuscì a mettere a punto un sistema valido ancor oggi che chiamò SPEAR (lancia). Il metodo di Blauer ha aggiunto una nuova "arma" all'arsenale di chi vuole imparare a difendersi ed è stato un punto di partenza per vari sistemi che sfruttano gli stessi principi.

In pratica, il metodo di Blauer consiste nel modificare i normali gesti istintivi che il nostro corpo esegue durante un trasalimento, rendendoli più efficaci, più idonei a difendersi e a reagire. Questo si ottiene imparando ed allenando una particolare postura del corpo che Blauer chiamò, appunto, SPEAR.

Il "segreto" di questo metodo sta nello sfruttare l'elevatissima velocità data dalla reazione naturale del trasalimento che è nettamente superiore a qualsiasi altra reazione che implica l'utilizzo della razionalità o della memoria muscolare (vedi: arti marziali!).
La cosa fondamentale è che i gesti istintivi del corpo vanno modificati solo leggermente, altrimenti entreranno in gioco la mente razionale o la memoria muscolare e il sistema non sarà più così efficace.
Ma quali sono questi gesti istintivi? Vediamone un esempio con l'aiuto dello stesso Blauer (a destra nelle foto, in maglietta nera):


Foto 1: vediamo la tipica discussione animata che può avvenire per i più svariati  motivi (ad esempio per una mancata precedenza o per motivi di parcheggio). I toni cominciano a farsi accesi e cominciano a volare parole pesanti e minacce...


Foto 2 e 3: a un certo punto l'uomo alla sinistra dà inizio alla violenza e fa scattare un pugno verso la testa di Tony. In questi casi, la reazione istintiva è immediata e naturale e consiste nel piegarsi all'indietro, sollevare le mani e spingerle in avanti (per cercare di proteggere la testa), "incassare" la testa fra le spalle e infine girarla di lato, o addirittura all'indietro.

Foto 4: questo però non è sufficiente e il colpo arriva pesantemente nella testa della persona aggredita.

Quella che è venuta a mancare, dunque, non è stata la velocità, il corpo di Tony ha reagito AUTOMATICAMENTE ed ISTANTANEAMENTE alla minaccia, quella che è mancata è stata l'efficacia. Con la sua "tecnica speciale" Blauer ha dato efficacia al movimento istintivo del sussultare (o trasalire).

Anche nel nostro metodo si sfruttano i principi adottati da Tony, ma con un metodo e una postura diversi dallo SPEAR. Il nostro "Brocchiere "(*) offre una maggior copertura difensiva ed è più aggressivo, in quanto all'efficacia della parata aggiunge, lo shock (anche psicologico) di un violento ed immediato contro-colpo.



(*) Il brocchiere era un piccolo scudo metallico, utilizzato assieme alla spada durante il primo rinascimento e la cui caratteristica era quella di avere una puntazza o un grosso chiodo nel centro (una "brocca", appunto).
Con il brocchiere, dunque, si parava e si contrattaccava allo stesso tempo.