L'assassino non bussa alla porta... Ha le chiavi di casa!
Le violenze in famiglia sono un fenomeno tanto diffuso quanto poco conosciuto.
Da uno studio EURES del 2008, risulterebbe che in Italia si verifica un delitto in famiglia ogni due giorni: circa 170 omicidi sui circa 600 morti ammazzati per vari motivi che si contano ogni anno nel nostro paese, pari a un 28% del totale.
Nell'ambiente domestico, quindi, si uccide più di quanto riescano a fare mafia, camorra e 'ndrangheta messi insieme.
Secondo una ricerca americana, il 21% degli accessi al pronto soccorso da parte delle donne è da attribuirsi ad episodi di violenza domestica metà dei quali da parte del marito, che più di metà delle violenze sessuali patite dalle donne ultratrentenni sono perpetrate dal partner.
Le cronache ci riportano quelli che sono i casi più eclatanti: soprattutto mariti che uccidono le loro consorti, più raramente il contrario, ma non mancano i casi di madri e padri che uccidono i loro figli piccoli, o figli ormai grandi che rivolgono la loro furia sui genitori anziani. Basta aprire il giornale la mattina per trovare facilmente qualcuno di questi casi.
Purtroppo si tratta di eventi molto difficili da prevenire e contrastare. Molto spesso tali tragedie sono alimentate dal disagio psichico e/o sociale, di fronte al quale la famiglia viene lasciata quasi sempre da sola, stante il vuoto di fatto dei servizi e delle istituzioni.
Ma al di là del clamore e lo sgomento suscitato dai fatti di cronaca, rimane una certezza tanto amara quanto evidente: questi delitti sono solo la punta dell'iceberg e rappresentano l'espressione estrema di un disagio largamente diffuso a cui nessuno vuole o può prestare attenzione.
Del resto, se state leggendo questa pagina, è molto probabile che voi stessi siate a conoscenza di situazioni famigliari dove potenzialmente o concretamente si corrono rischi fisici (e non solo).
Il fenomeno delle violenze in famiglia è estremamente complesso e variegato.
L'amplificazione mediatica di alcuni fatti di cronaca, oltre che la soggettiva percezione di ognuno di noi di quanto sia diffuso il fenomeno, fanno parlare espressamente gli addetti ai lavori di emergenza sociale.
Sulle cause molto si è detto e molto si potrebbe dire, ma sul fenomeno, così come ci appare oggi, pesano sicuramente i mutamenti di ordine economico e sociale che si sono verificati negli ultimi decenni nel nostro paese (e non solo il nostro).
Sia chiaro, le violenze in famiglia ci sono sempre state, ma le differenze fra la struttura della famiglia allargata del passato, e quella nucleare e isolata di oggi, potrebbero fornire alcune chiavi di lettura su quello che sta succedendo.
Se la famiglia patriarcale di un tempo era contraddistinta dall’impero del "padre padrone", in compenso la coesistenza nel nucleo di varie figure (nonni, suoceri, cognati, la cosiddetta "famiglia allargata") garantiva informalmente un certo controllo sui comportamenti e dunque anche sulla violenza esercitata da e contro i suoi membri.
Oggigiorno, invece, questa forma di il controllo sociale informale è pressoché scomparso, non sostituito da quello formale, ovvero dalle istituzioni.
Privata del supporto di quella rete di relazioni proprie del passato, pressata dagli eventi congiunturali e dalle tensioni interne, la famiglia "nucleare" reagisce con una sostanziale chiusura in se stessa enfatizzando l'impermeabilità del privato.
Questo isolamento rende di fatto più vulnerabili i componenti più deboli della famiglia, solitamente la donna e i figli minorenni, anche se non solo loro.
Quindi nell’organizzazione tradizionale i poteri del capo famiglia, anche se amplissimi, non erano arbitrari, essendo soggetti sempre ad una sorta di controllo comunitario.
In sostanza, nelle famiglie di oggi così occultate agli occhi altrui, gli abusi possono commettersi anche per anni senza che nessuno intervenga e, soprattutto, senza che ci sia modo anche normativo di agire dall'esterno, almeno finché un evento irreparabile non obblighi le istituzioni a intervenire.
Gli eventi estremi, vale a dire omicidi e ferimenti gravi, sono solo la punta di un iceberg.
La violenza domestica - intendendo con questa anche forme di violenza psicologica, economica o altre modalità non necessariamente "fisiche" - rappresenta un universo di situazioni che intrappolano milioni di persone, vittime e carnefici, in una rete di relazioni malate e degradanti, dalle quali è molto difficile liberarsi.
Anzi, è proprio il momento di ribellione, quando il debole di turno manifesta il desiderio di spezzare la catena, ad essere il più rischioso, quello capace di scatenare l'aggressione fisica, o peggio.
Uxoricidio.
In tutta la casistica dei casi estremi di violenza in famiglia, omicidi in primo luogo, l'uxoricidio occupa il posto più importante, perché nell'85% dei casi sono i mariti/conviventi a uccidere le mogli e non viceversa. In Italia, si calcola che ogni 96 ore venga uccisa una donna dal proprio marito/convivente o ex (2).
Secondo lo studio EURES, i motivi che spingono all'uxoricidio sono vari, ma sono riconducibili sostanzialmente a due tipologie: quella del possesso, più ancora della “vecchia” gelosia, e quella del costante maltrattamento da parte del marito che alla fine esita in omicidio, magari in conseguenza di un estremo tentativo di ribellione da parte della donna. Va notato che proprio quando è la donna a decidere la separazione, quello è il momento per lei maggiormente a rischio di maltrattamento o peggio.
Anche se si attribuisce alla donna una presunta attitudine alla dipendenza, in buona parte degli omicidi all’interno del rapporto di coppia, è piuttosto l’uomo che non sa rassegnarsi alla perdita del cosiddetto ’"oggetto d’amore", ovvero, sempre secondo EURES, il rapporto basato sulla possessività e l’autoritarismo assoluto da parte dell’uomo, lo rende di fatto incapace di accettare una decisione non sua e di perdere così una proprietà più che un affetto. E per questo può uccidere.
Uccisione del marito/convivente
Molto spesso l'uccisione del marito/convivente da parte della donna, sempre secondo EURES, non è altro che l'esito estremo di una lunga storia di maltrattamenti in cui, paradossalmente la vittima diventa vittima anche quando si trasforma in aggressore. Basti pensare che delle 46 donne presenti a metà degli anni Novanta nei “bracci della morte” delle carceri statunitensi, quasi tutte avevano ucciso il marito o il partner, e quasi tutte erano donne abusate, al punto che è oramai introdotta in USA una forma di insanity defense –pressappoco corrispondente alla nostra non imputabilità- basata appunto sulla battered woman syndrome (sindrome da donna picchiata).
Non di rado, quindi, i mariti vengono uccisi dopo anni o decenni di violenze, prevaricazioni, soperchierie, prepotenze di ogni genere che l’omicida ha subito da parte della “vittima”.
Violenze, percosse, maltrattamenti e abusi in genere.
In ogni caso, gli omicidi sono un fenomeno raro, mentre le angherie, le sopraffazioni, le violenze sessuali, quelle fisiche non letali sono una triste quotidianità.
Secondo l’OMS, che ha effettuato un’indagine in 48 Paesi, una percentuale tra il 10 e il 69% di donne ha dichiarato di aver subito un abuso fisico da parte del partner almeno una volta nella vita. Per l’Italia, l’ISTAT ha condotto una ricerca nel 2006, intervistando telefonicamente un campione rappresentativo di donne fra i 16 e i 70 anni, da cui risulta che 6 milioni e 743 mila Italiane sono state vittima di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, il 31,9% della classe di età considerata. Il 14,3% delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner, e, se si calcolano anche gli ex partner, la percentuale sale al 17,3%.
Soprattutto, nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate.
Quindi, rispetto ai dati ufficiali, questi reati sono ampiamente sottostimati, risentendo dell'ormai collaudato detto secondo cui “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
Ma c'è un aspetto che va sottolineato.
Molto spesso, quando si parla di violenza domestica, esiste una difficoltà di riconoscimento della violenza stessa, come se una sorta di "effetto alone" rendesse meno rilevanti, meno evidenti i gesti di prevaricazione se a compierli è un membro della famiglia.
In altre parole, mentre è abbastanza facile dare "il giusto significato" a un occhio tumefatto, ai membri di una famiglia non è altrettanto evidente che certi comportamenti rappresentano comunque una forma di maltrattamento.
Anzi, paradossalmente certe forme di prevaricazione vengono apertamente confuse con il ruolo, con il carattere di una persona, magari portando chi le subisce a colpevolizzarsi per aver "provocato" la punizione dell'altro.
Quindi la violenza (magari solo verbale) perde il suo significato, mimetizzandosi nelle pieghe di quella che dal di fuori appare come "dialettica", eccesso di confidenza, avere una personalità autoritaria o attraversare un "momento di crisi".
Da un lato, quindi assistiamo alle difficoltà di riconoscimento della violenza familiare da parte delle "vittime" di turno, dall'altro il mancato riconoscimento delle conseguenze della violenza, creano le basi ad una sorta di assuefazione.
Da qui il percorso procede, seguendo una pista sempre più scoscesa, dove ogni giorno la dose viene rincarata. Dapprima piccole mancanze di rispetto, poi gli insulti, poi le mani addosso.
Perfino in questi casi la vittima, spesso, è portata a sminuire, con argomenti del tipo "lui è fatto così". Spesso c'è una forma di giustificazione dell'altro che passa per la propria colpevolizzazione, "forse non gli ho dato le giuste attenzioni, forse ho mancato".
La cosa può andare avanti così per anni, fino a passare il segno, fino a quando non si può più fare a meno di vedere.
Ma questa presa di coscienza, ormai tardiva, arriva su una situazione ormai fuori controllo, dove le parole e la trattativa hanno ormai perso significato. Siamo all'ultimo grado dell'escalation, tutto può esplodere.
La violenza è come un cancro: per avere delle chance di guarigione occorre curarlo nelle fase iniziale.
Anche per quanto riguarda la violenza in famiglia, la regola è quella di riconoscere per tempo i segnali che possono portare a una deriva del rapporto ed intervenire quando ancora è possibile.
A volte con la rottura, la separazione, ma un conto è farlo quando il livello di tensione è ancora gestibile, un conto è farlo in un pericoloso stato di esasperazione, quando ogni accordo è impossibile.
In questi casi, l'unica opzione potrebbe essere la fuga, con tutti i pericoli e le difficoltà che comporta.
Nelle righe che seguono proverò a elencare alcune forme "tipiche" di violenza che spesso si riscontrano nel rapporto famigliare.
Violenza psicologica.
Il reato di “Maltrattamenti in famiglia”, è modellato sul maltrattamento fisico; infatti, se anche l'art. 572 del nostro codice scrive genericamente di “maltrattamenti”, di fatto è più probabile che vengano punite quelle azioni da cui scaturisca una comprovata lesione fisica.
Invece, le forme di violenza sono molte, ed alcune difficilmente possono essere refertate in un pronto soccorso ospedaliero, a cominciare dalla violenza psicologica.
In questa categoria possono essere elencati comportamenti quali: apprezzamenti offensivi in pubblico o in presenza di amici, atteggiamenti di disistima, critiche avvilenti, tentativi di sminuire il ruolo del congiunto, ecc.
Spesso tali comportamenti possono essere evidenti anche tra i nostri “normali” conoscenti: quando si vive in famiglia, si conosce l’altro intimamente, si conoscono le sue debolezze, e quindi si può colpire con precisione, proprio dove fa male.
D’altra parte, violenza fisica e violenza psicologica spesso sono legate: nessun uomo si mette a picchiare la moglie dall’oggi al domani senza motivo apparente. La maggior parte dei coniugi violenti prepara prima il terreno e comunque la violenza psicologica può fare grossi danni anche da sola.
Isolamento.
La violenza psicologica si esercita anche con l’isolamento. Un esempio classico è il coniuge che ostacola apertamente la vita sociale dell'altro congiunto.
Tale atteggiamento può essere a volte sfumato, sotto forma di insofferenza per le amicizie dell'altro, fastidio per le attività "fuori casa", fino ad arrivare a veri divieti ultimativi o a costrizione fisica, non solo a uscire dalle mura domestiche, ma anche ricevere ospiti non graditi, arrivando anche a controllare le telefonate.
Violenza economica.
La violenza economica consiste nel costringere l'altro a dover dipendere in tutto e per tutto per le spese, magari arrivando a "sequestrare" lo stipendio guadagnato dal congiunto.
Per assicurarsi di mantenere il potere finanziario, per esempio, l’uomo può cominciare con il verificare sistematicamente tutti i conti della moglie, rifiutare di dare abbastanza denaro oppure darlo con il contagocce, il tutto condito da osservazioni colpevolizzanti. Tutto ciò può spingersi fino al rifiuto di concedere alla propria compagna una carta di credito o un libretto di assegni
Qualche volta, in proposito, si trovano giudici accorti, così la Cassazione, VI Sez., con sentenza n. 6785/2000, ha stabilito che “la pervicace, sistematica condotta del coniuge, tesa a rendere la vita insopportabile al partner con l’umiliante e ingiustificata vessazione di esasperata avarizia, integra gli estremi del reato di maltrattamento in famiglia”.
Percosse e abusi fisici.
Le botte, gli schiaffi, sono il fenomeno più evidente ma non per questo meno soggetto alla spiccata tendenza a coprire, minimizzare, ignorare, negare, anche e soprattutto da parte di chi ne è vittima. Ancor di più quelle forme di abuso fisico più "soft" (mi si passi il termine) come gli spintonamenti, il tirare i capelli, torcere le braccia, o la semplice intimidazione fisica che magari non lasciano segni visibili sul corpo.
Violenza sessuale.
La violenza sessuale merita una trattazione a parte, ma è utile ribadire che, come rilevato da varie statistiche, il fenomeno è prevalente proprio tra le mura domestiche, piuttosto che ad opera di sconosciuti.
Eppure fino ad alcuni decenni fa, lo stupro "domestico" era reputato impossibile dai giuristi, motivando l’impossibilità con il fatto che esisterebbe il cosiddetto “debito coniugale” (evito ogni commento), che affermavano:
«Poiché la costrizione, per costituire reato, dev'essere illegittima, così non è punibile il coniuge che costringa l'altro coniuge, mediante violenza o minaccia, alla congiunzione carnale secondo natura e in condizioni normali. Tra gli scopi del matrimonio, invero, è anche quello di fornire remedium concupiscentiae».
Purtroppo non è l'unico caso in cui legge e buon senso sembrano non comunicare tra loro.
Stalking.
Con lo stalking si indicano quei casi di appostamento, inseguimento, ricerca molesta di contatto e/o comunicazione che non di rado si verifica fra ex partner, che spesso ha alle spalle storie di violenza domestica, e talora evolve in modi particolarmente violenti.
Si tratta di un fenomeno particolarmente insidioso, in quanto lo stalking, come altre forme di violenza non "fisica", non è facilmente dimostrabile in tribunale: di fronte alle violenze psicologiche non ci sono referti medici, verbali di polizia, testimoni del fatto.
Ne parleremo in modo più specifico in un prossimo articolo.
Maltrattamenti e abusi su anziani.
Si tratta di un'altra tipologia di abusi che spesso non viene riscontrata e rilevata perché l'anziano stesso è incapace di segnalare quanto gli succede per paura o per imbarazzo o per deterioramento mentale.
Uno dei casi più segnalati è quello della eccessiva somministrazione di psicofarmaci per rendere più facile la gestione della persona, soprattutto nei casi di demenza.
Un altro caso frequente di abuso riguarda la gestione finanziaria dei beni dell'anziano, soprattutto nel caso della persona con scarse capacità cognitive.
In ogni caso, i maltrattamenti possono esprimersi sotto varie forme: abuso fisico, psicologico/emotivo, finanziario e semplicemente dimostrando negligenza, intenzionale o meno, verso i bisogni dell'anziano non più autosufficiente.
Maltrattamenti e abusi su bambini e minori.
Come nel caso degli anziani, i maltrattamenti verso i minori possono essere di tipo privativo, come il non prendersi cura del bambino non lavandolo, non vestendolo adeguatamente, ignorare le necessità affettive, infliggere sofferenze psicologiche e fisiche, trascurare o ignorare le sue necessità mediche, trascurare le esigenze di istruzione e scolarizzazione, pretendere che il minore adegui il suo comportamento complessivo alla realizzazione di desideri dell'adulto che non considerano le sue reali capacità ed aspirazioni.
Oltre a questi tipi di abuso, possono verificarsi forme di violenza fisica vera e propria e persino abusi sessuali.
Altre forme più rare.
Più rare, ma degne di essere menzionate sono fatti come il ferimento o l'uccisione dei genitori da parte de figli già grandi, per motivi che vanno dagli interessi economici, alla malattia mentale, passando per la tossicodipendenza ed altre ragioni minori.
Le violenze in famiglia sono un fenomeno tanto diffuso quanto poco conosciuto.
Da uno studio EURES del 2008, risulterebbe che in Italia si verifica un delitto in famiglia ogni due giorni: circa 170 omicidi sui circa 600 morti ammazzati per vari motivi che si contano ogni anno nel nostro paese, pari a un 28% del totale.
Nell'ambiente domestico, quindi, si uccide più di quanto riescano a fare mafia, camorra e 'ndrangheta messi insieme.
Secondo una ricerca americana, il 21% degli accessi al pronto soccorso da parte delle donne è da attribuirsi ad episodi di violenza domestica metà dei quali da parte del marito, che più di metà delle violenze sessuali patite dalle donne ultratrentenni sono perpetrate dal partner.
Le cronache ci riportano quelli che sono i casi più eclatanti: soprattutto mariti che uccidono le loro consorti, più raramente il contrario, ma non mancano i casi di madri e padri che uccidono i loro figli piccoli, o figli ormai grandi che rivolgono la loro furia sui genitori anziani. Basta aprire il giornale la mattina per trovare facilmente qualcuno di questi casi.
Purtroppo si tratta di eventi molto difficili da prevenire e contrastare. Molto spesso tali tragedie sono alimentate dal disagio psichico e/o sociale, di fronte al quale la famiglia viene lasciata quasi sempre da sola, stante il vuoto di fatto dei servizi e delle istituzioni.
Ma al di là del clamore e lo sgomento suscitato dai fatti di cronaca, rimane una certezza tanto amara quanto evidente: questi delitti sono solo la punta dell'iceberg e rappresentano l'espressione estrema di un disagio largamente diffuso a cui nessuno vuole o può prestare attenzione.
Del resto, se state leggendo questa pagina, è molto probabile che voi stessi siate a conoscenza di situazioni famigliari dove potenzialmente o concretamente si corrono rischi fisici (e non solo).
Il fenomeno delle violenze in famiglia è estremamente complesso e variegato.
L'amplificazione mediatica di alcuni fatti di cronaca, oltre che la soggettiva percezione di ognuno di noi di quanto sia diffuso il fenomeno, fanno parlare espressamente gli addetti ai lavori di emergenza sociale.
Sulle cause molto si è detto e molto si potrebbe dire, ma sul fenomeno, così come ci appare oggi, pesano sicuramente i mutamenti di ordine economico e sociale che si sono verificati negli ultimi decenni nel nostro paese (e non solo il nostro).
Sia chiaro, le violenze in famiglia ci sono sempre state, ma le differenze fra la struttura della famiglia allargata del passato, e quella nucleare e isolata di oggi, potrebbero fornire alcune chiavi di lettura su quello che sta succedendo.
Se la famiglia patriarcale di un tempo era contraddistinta dall’impero del "padre padrone", in compenso la coesistenza nel nucleo di varie figure (nonni, suoceri, cognati, la cosiddetta "famiglia allargata") garantiva informalmente un certo controllo sui comportamenti e dunque anche sulla violenza esercitata da e contro i suoi membri.
Oggigiorno, invece, questa forma di il controllo sociale informale è pressoché scomparso, non sostituito da quello formale, ovvero dalle istituzioni.
Privata del supporto di quella rete di relazioni proprie del passato, pressata dagli eventi congiunturali e dalle tensioni interne, la famiglia "nucleare" reagisce con una sostanziale chiusura in se stessa enfatizzando l'impermeabilità del privato.
Questo isolamento rende di fatto più vulnerabili i componenti più deboli della famiglia, solitamente la donna e i figli minorenni, anche se non solo loro.
Quindi nell’organizzazione tradizionale i poteri del capo famiglia, anche se amplissimi, non erano arbitrari, essendo soggetti sempre ad una sorta di controllo comunitario.
In sostanza, nelle famiglie di oggi così occultate agli occhi altrui, gli abusi possono commettersi anche per anni senza che nessuno intervenga e, soprattutto, senza che ci sia modo anche normativo di agire dall'esterno, almeno finché un evento irreparabile non obblighi le istituzioni a intervenire.
Gli eventi estremi, vale a dire omicidi e ferimenti gravi, sono solo la punta di un iceberg.
La violenza domestica - intendendo con questa anche forme di violenza psicologica, economica o altre modalità non necessariamente "fisiche" - rappresenta un universo di situazioni che intrappolano milioni di persone, vittime e carnefici, in una rete di relazioni malate e degradanti, dalle quali è molto difficile liberarsi.
Anzi, è proprio il momento di ribellione, quando il debole di turno manifesta il desiderio di spezzare la catena, ad essere il più rischioso, quello capace di scatenare l'aggressione fisica, o peggio.
Uxoricidio.
In tutta la casistica dei casi estremi di violenza in famiglia, omicidi in primo luogo, l'uxoricidio occupa il posto più importante, perché nell'85% dei casi sono i mariti/conviventi a uccidere le mogli e non viceversa. In Italia, si calcola che ogni 96 ore venga uccisa una donna dal proprio marito/convivente o ex (2).
Secondo lo studio EURES, i motivi che spingono all'uxoricidio sono vari, ma sono riconducibili sostanzialmente a due tipologie: quella del possesso, più ancora della “vecchia” gelosia, e quella del costante maltrattamento da parte del marito che alla fine esita in omicidio, magari in conseguenza di un estremo tentativo di ribellione da parte della donna. Va notato che proprio quando è la donna a decidere la separazione, quello è il momento per lei maggiormente a rischio di maltrattamento o peggio.
Anche se si attribuisce alla donna una presunta attitudine alla dipendenza, in buona parte degli omicidi all’interno del rapporto di coppia, è piuttosto l’uomo che non sa rassegnarsi alla perdita del cosiddetto ’"oggetto d’amore", ovvero, sempre secondo EURES, il rapporto basato sulla possessività e l’autoritarismo assoluto da parte dell’uomo, lo rende di fatto incapace di accettare una decisione non sua e di perdere così una proprietà più che un affetto. E per questo può uccidere.
Uccisione del marito/convivente
Molto spesso l'uccisione del marito/convivente da parte della donna, sempre secondo EURES, non è altro che l'esito estremo di una lunga storia di maltrattamenti in cui, paradossalmente la vittima diventa vittima anche quando si trasforma in aggressore. Basti pensare che delle 46 donne presenti a metà degli anni Novanta nei “bracci della morte” delle carceri statunitensi, quasi tutte avevano ucciso il marito o il partner, e quasi tutte erano donne abusate, al punto che è oramai introdotta in USA una forma di insanity defense –pressappoco corrispondente alla nostra non imputabilità- basata appunto sulla battered woman syndrome (sindrome da donna picchiata).
Non di rado, quindi, i mariti vengono uccisi dopo anni o decenni di violenze, prevaricazioni, soperchierie, prepotenze di ogni genere che l’omicida ha subito da parte della “vittima”.
Violenze, percosse, maltrattamenti e abusi in genere.
In ogni caso, gli omicidi sono un fenomeno raro, mentre le angherie, le sopraffazioni, le violenze sessuali, quelle fisiche non letali sono una triste quotidianità.
Secondo l’OMS, che ha effettuato un’indagine in 48 Paesi, una percentuale tra il 10 e il 69% di donne ha dichiarato di aver subito un abuso fisico da parte del partner almeno una volta nella vita. Per l’Italia, l’ISTAT ha condotto una ricerca nel 2006, intervistando telefonicamente un campione rappresentativo di donne fra i 16 e i 70 anni, da cui risulta che 6 milioni e 743 mila Italiane sono state vittima di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, il 31,9% della classe di età considerata. Il 14,3% delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner, e, se si calcolano anche gli ex partner, la percentuale sale al 17,3%.
Soprattutto, nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate.
Quindi, rispetto ai dati ufficiali, questi reati sono ampiamente sottostimati, risentendo dell'ormai collaudato detto secondo cui “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
Ma c'è un aspetto che va sottolineato.
Molto spesso, quando si parla di violenza domestica, esiste una difficoltà di riconoscimento della violenza stessa, come se una sorta di "effetto alone" rendesse meno rilevanti, meno evidenti i gesti di prevaricazione se a compierli è un membro della famiglia.
In altre parole, mentre è abbastanza facile dare "il giusto significato" a un occhio tumefatto, ai membri di una famiglia non è altrettanto evidente che certi comportamenti rappresentano comunque una forma di maltrattamento.
Anzi, paradossalmente certe forme di prevaricazione vengono apertamente confuse con il ruolo, con il carattere di una persona, magari portando chi le subisce a colpevolizzarsi per aver "provocato" la punizione dell'altro.
Quindi la violenza (magari solo verbale) perde il suo significato, mimetizzandosi nelle pieghe di quella che dal di fuori appare come "dialettica", eccesso di confidenza, avere una personalità autoritaria o attraversare un "momento di crisi".
Da un lato, quindi assistiamo alle difficoltà di riconoscimento della violenza familiare da parte delle "vittime" di turno, dall'altro il mancato riconoscimento delle conseguenze della violenza, creano le basi ad una sorta di assuefazione.
Da qui il percorso procede, seguendo una pista sempre più scoscesa, dove ogni giorno la dose viene rincarata. Dapprima piccole mancanze di rispetto, poi gli insulti, poi le mani addosso.
Perfino in questi casi la vittima, spesso, è portata a sminuire, con argomenti del tipo "lui è fatto così". Spesso c'è una forma di giustificazione dell'altro che passa per la propria colpevolizzazione, "forse non gli ho dato le giuste attenzioni, forse ho mancato".
La cosa può andare avanti così per anni, fino a passare il segno, fino a quando non si può più fare a meno di vedere.
Ma questa presa di coscienza, ormai tardiva, arriva su una situazione ormai fuori controllo, dove le parole e la trattativa hanno ormai perso significato. Siamo all'ultimo grado dell'escalation, tutto può esplodere.
La violenza è come un cancro: per avere delle chance di guarigione occorre curarlo nelle fase iniziale.
Anche per quanto riguarda la violenza in famiglia, la regola è quella di riconoscere per tempo i segnali che possono portare a una deriva del rapporto ed intervenire quando ancora è possibile.
A volte con la rottura, la separazione, ma un conto è farlo quando il livello di tensione è ancora gestibile, un conto è farlo in un pericoloso stato di esasperazione, quando ogni accordo è impossibile.
In questi casi, l'unica opzione potrebbe essere la fuga, con tutti i pericoli e le difficoltà che comporta.
Nelle righe che seguono proverò a elencare alcune forme "tipiche" di violenza che spesso si riscontrano nel rapporto famigliare.
Violenza psicologica.
Il reato di “Maltrattamenti in famiglia”, è modellato sul maltrattamento fisico; infatti, se anche l'art. 572 del nostro codice scrive genericamente di “maltrattamenti”, di fatto è più probabile che vengano punite quelle azioni da cui scaturisca una comprovata lesione fisica.
Invece, le forme di violenza sono molte, ed alcune difficilmente possono essere refertate in un pronto soccorso ospedaliero, a cominciare dalla violenza psicologica.
In questa categoria possono essere elencati comportamenti quali: apprezzamenti offensivi in pubblico o in presenza di amici, atteggiamenti di disistima, critiche avvilenti, tentativi di sminuire il ruolo del congiunto, ecc.
Spesso tali comportamenti possono essere evidenti anche tra i nostri “normali” conoscenti: quando si vive in famiglia, si conosce l’altro intimamente, si conoscono le sue debolezze, e quindi si può colpire con precisione, proprio dove fa male.
D’altra parte, violenza fisica e violenza psicologica spesso sono legate: nessun uomo si mette a picchiare la moglie dall’oggi al domani senza motivo apparente. La maggior parte dei coniugi violenti prepara prima il terreno e comunque la violenza psicologica può fare grossi danni anche da sola.
Isolamento.
La violenza psicologica si esercita anche con l’isolamento. Un esempio classico è il coniuge che ostacola apertamente la vita sociale dell'altro congiunto.
Tale atteggiamento può essere a volte sfumato, sotto forma di insofferenza per le amicizie dell'altro, fastidio per le attività "fuori casa", fino ad arrivare a veri divieti ultimativi o a costrizione fisica, non solo a uscire dalle mura domestiche, ma anche ricevere ospiti non graditi, arrivando anche a controllare le telefonate.
Violenza economica.
La violenza economica consiste nel costringere l'altro a dover dipendere in tutto e per tutto per le spese, magari arrivando a "sequestrare" lo stipendio guadagnato dal congiunto.
Per assicurarsi di mantenere il potere finanziario, per esempio, l’uomo può cominciare con il verificare sistematicamente tutti i conti della moglie, rifiutare di dare abbastanza denaro oppure darlo con il contagocce, il tutto condito da osservazioni colpevolizzanti. Tutto ciò può spingersi fino al rifiuto di concedere alla propria compagna una carta di credito o un libretto di assegni
Qualche volta, in proposito, si trovano giudici accorti, così la Cassazione, VI Sez., con sentenza n. 6785/2000, ha stabilito che “la pervicace, sistematica condotta del coniuge, tesa a rendere la vita insopportabile al partner con l’umiliante e ingiustificata vessazione di esasperata avarizia, integra gli estremi del reato di maltrattamento in famiglia”.
Percosse e abusi fisici.
Le botte, gli schiaffi, sono il fenomeno più evidente ma non per questo meno soggetto alla spiccata tendenza a coprire, minimizzare, ignorare, negare, anche e soprattutto da parte di chi ne è vittima. Ancor di più quelle forme di abuso fisico più "soft" (mi si passi il termine) come gli spintonamenti, il tirare i capelli, torcere le braccia, o la semplice intimidazione fisica che magari non lasciano segni visibili sul corpo.
Violenza sessuale.
La violenza sessuale merita una trattazione a parte, ma è utile ribadire che, come rilevato da varie statistiche, il fenomeno è prevalente proprio tra le mura domestiche, piuttosto che ad opera di sconosciuti.
Eppure fino ad alcuni decenni fa, lo stupro "domestico" era reputato impossibile dai giuristi, motivando l’impossibilità con il fatto che esisterebbe il cosiddetto “debito coniugale” (evito ogni commento), che affermavano:
«Poiché la costrizione, per costituire reato, dev'essere illegittima, così non è punibile il coniuge che costringa l'altro coniuge, mediante violenza o minaccia, alla congiunzione carnale secondo natura e in condizioni normali. Tra gli scopi del matrimonio, invero, è anche quello di fornire remedium concupiscentiae».
Purtroppo non è l'unico caso in cui legge e buon senso sembrano non comunicare tra loro.
Stalking.
Con lo stalking si indicano quei casi di appostamento, inseguimento, ricerca molesta di contatto e/o comunicazione che non di rado si verifica fra ex partner, che spesso ha alle spalle storie di violenza domestica, e talora evolve in modi particolarmente violenti.
Si tratta di un fenomeno particolarmente insidioso, in quanto lo stalking, come altre forme di violenza non "fisica", non è facilmente dimostrabile in tribunale: di fronte alle violenze psicologiche non ci sono referti medici, verbali di polizia, testimoni del fatto.
Ne parleremo in modo più specifico in un prossimo articolo.
Maltrattamenti e abusi su anziani.
Si tratta di un'altra tipologia di abusi che spesso non viene riscontrata e rilevata perché l'anziano stesso è incapace di segnalare quanto gli succede per paura o per imbarazzo o per deterioramento mentale.
Uno dei casi più segnalati è quello della eccessiva somministrazione di psicofarmaci per rendere più facile la gestione della persona, soprattutto nei casi di demenza.
Un altro caso frequente di abuso riguarda la gestione finanziaria dei beni dell'anziano, soprattutto nel caso della persona con scarse capacità cognitive.
In ogni caso, i maltrattamenti possono esprimersi sotto varie forme: abuso fisico, psicologico/emotivo, finanziario e semplicemente dimostrando negligenza, intenzionale o meno, verso i bisogni dell'anziano non più autosufficiente.
Maltrattamenti e abusi su bambini e minori.
Come nel caso degli anziani, i maltrattamenti verso i minori possono essere di tipo privativo, come il non prendersi cura del bambino non lavandolo, non vestendolo adeguatamente, ignorare le necessità affettive, infliggere sofferenze psicologiche e fisiche, trascurare o ignorare le sue necessità mediche, trascurare le esigenze di istruzione e scolarizzazione, pretendere che il minore adegui il suo comportamento complessivo alla realizzazione di desideri dell'adulto che non considerano le sue reali capacità ed aspirazioni.
Oltre a questi tipi di abuso, possono verificarsi forme di violenza fisica vera e propria e persino abusi sessuali.
Altre forme più rare.
Più rare, ma degne di essere menzionate sono fatti come il ferimento o l'uccisione dei genitori da parte de figli già grandi, per motivi che vanno dagli interessi economici, alla malattia mentale, passando per la tossicodipendenza ed altre ragioni minori.