mercoledì 19 novembre 2014

Bullismo: seconda parte

 

Per i genitori: come riconoscere i sintomi di una vittima di bullismo.

I bambini che subiscono il fenomeno del bullismo possono assumere alcuni dei seguenti comportamenti:

  • Improvviso rifiuto ad andare a scuola;
  • Non riescono a concentrarsi nei compiti per casa;
  • Parlano poco di ciò che accade a scuola;
  • Hanno pochi amici, anche se dicono di averne molti;
  • Perdono spesso oggetti di cancelleria;
  • Dormono male;
  • Inventano diverse scuse per non andare a scuola;
  • Sono infelici e insoddisfatti;
  • Possono presentare spesso lividi, graffi, abiti strappati;
  • Chiedono soldi di continuo/Dicono spesso di perdere soldi;
  • Compiono strani percorsi per arrivare a scuola;
  • Presentano scoppi di rabbia eccessivi;
  • Marinano la scuola;
  • Commettono piccoli furti.

A scuola invece possono comportarsi nei modi seguenti:

  • Rimangono spesso da soli durante la ricreazione;
  • Vengono esclusi quando si organizzano giochi di squadra;
  • Peggioramento del rendimento scolastico;
  • Spesso sono depressi o spaventati;
  • Stanno sempre vicino agli insegnanti;
  • Non partecipano alle discussioni di classe;
  • Vengono preso in giro di continuo dai compagni (che spesso riferiscono trattasi solamente di un gioco).

Una cosa da tener sempre presente è che la vittima spesso lo nasconde ai genitori e agli insegnanti. A volte perché ha paura di quello che potrebbe fargli il bullo una volta scoperto, a volte perché ha paura delle reazioni dei genitori.

Per i ragazzi: come capire quando si sta diventando vittime di bullismo.

  • ricevi insulti o minacce;
  • ti spingono;
  • ti danno calci e pugni;
  • ti fanno cadere
  • ti danno dei soprannomi antipatici e ti prendono in giro;
  • diffondono voci maligne su di te;
  • ti offendono per la tua razza, per il tuo sesso o per la tua religione;
  • fanno sorrisetti e risatine mentre stai passando;
  • parlano "in codice" se sei presente;
  • ricevi sms, e-mail e telefonate offensive;
  • ti ignorano e ti voltano le spalle se ti avvicini;
  • ti costringono a fare cose che non vuoi;
  • ti rubano o nascondono i libri, la merenda, la paghetta o le altre tue cose.

 

Non è bullismo se…

Non si tratta di bullismo se due ragazzi o gruppi di ragazzi litigano fra loro o si picchiano perché, in questi casi, esiste una parità di forza. Ma soprattutto non è bullismo quando qualcuno attacca o minaccia un coetaneo con un coltello, procura ferite gravi o compie molestie o abusi sessuali, questi comportamenti sono dei veri e propri reati.

Non sottovalutare il problema

  • perché non si tratta solo di “ragazzate”;
  • perché spesso, dietro il bullismo, si celano vere e proprie azioni criminali (furti, estorsioni, vandalismi, rapine, violenze sessuali);
  • perché il bullismo danneggia non solo chi lo subisce ma anche la famiglia, gli insegnanti e gli altri ragazzi che ne sono testimoni;
  • perché è molto probabile che i bulli crescano compiendo prepotenze;
  • perché subire prepotenze può causare danni alla sfera fisica, emotiva, intellettiva e sociale della vittima.

Se ci si accorge che un bambino è vittima di bullismo, si può:

  • Coinvolgere la scuola, parlandone sempre prima con il bambino, anche se non è d’accordo. Non va posto come imposizione, ma si dovrà arrivare ad una sorta di accordo, anche se con riluttanza da parte del bambino. Questo per non farlo sentire ancora una volta vittima, stavolta dei genitori;
  • Spiegate al bambino che non è l’unica vittima;
  • Ripetete all’infinito a vostro figlio che lo amate, che siete dalla sua parte, e che non è assolutamente colpa sua se gli è successo questo (che tra l’altro è la verità!);
  • Evitate assolutamente le “spedizioni di vendetta” a casa del bullo o di parlare direttamente e in modo sgarbato ai genitori dello stesso. Il problema non si risolve, anzi, spesso i litigi tra i genitori aggravano la situazione tra i figli (i bulli diventeranno ancora più bulli e le vittime ancora più vittime);
  • Evitate di dire a vostro figlio di rispondere con altrettanto, se poi non ci riesce la sua autostima si abbasserà ulteriormente;
  • Prevedete del tempo da passare con vostro figlio, per parlare di quello che prova, o per stare semplicemente con lui;
  • Dategli dei compiti da eseguire (che siano alla sua portata) e fategli i complimenti per la riuscita, così da cercare di aumentare l’autostima;Non sgridateli se stanno andando male a scuola. Aumentereste il carico dei sensi di colpa: a nessuno piace andare male a scuola;Non date al bambino oggetti di valore da portare a scuola;
  • Chiedetegli cosa succede durante la ricreazione, fatevi vedere interessati alla sua vita;
  • Se pensate che la situazione sia veramente critica, non mandate vostro figlio a scuola finché non siete sicuri che tutto sia sistemato.
Inoltre è di fondamentale importanza insegnare al bambino delle tecniche di assertività, a riconoscere e a controllare le proprie reazioni emotive e ad misurare la propria autoefficacia in modo adeguato.

Infine, esistono dei modelli comportamentali per prevenire il bullismo e per affrontarlo attivamente quando, nonostante tutto, si diventa comunque vittime.

venerdì 7 novembre 2014

Bullismo



IL BULLISMO

Bullismo, violenza tra i banchi, teppistelli, baby-gang... Negli ultimi anni il fenomeno del bullismo si è diffuso a macchia d’olio, in tutti i gradi scolastici, anche alle elementari, e con un aumento notevole tra il sesso femminile.
Sia in televisione che sui giornali appaiono spesso articoli con questo argomento che sottolineano l’importanza della diffusione delle informazioni in merito.

Sicuramente un'informazione adeguata potrebbe, se non prevenire, sicuramente fare in modo che gli adulti di riferimento (genitori ed insegnanti) possano riconoscere subito quei comportamenti tipici delle vittime di bullismo.
Quando si parla di "vittime" bisogna inoltre tenere bene a mente che nei casi di bullismo sono vittime sia gli aggrediti che gli aggressori.

Il bullismo è un problema molto serio che non va sottovalutato, in quanto può provocare alle vittime seri problemi psico-somatici che non sono da sottovalutare. Possono infatti sviluppare sempre di più una bassa autostima, fino ad arrivare a forme di depressione, di isolamento sociale, di aggressività (identificazione con il persecutore), di rifiuto della scuola, e persino di tentativi di suicidio. Molto spesso, gli stessi bulli sono stati a loro volta vittime di bullismo.
Molti, però, parlano di bullismo a sproposito, quindi vediamo di capire bene quando siamo realmente di fronte a un caso di bullismo.

Il cosiddetto "bullismo" consiste in atti di intimidazione, sopraffazione, oppressione fisica o psicologica commessi da un soggetto “forte” (il bullo) nei confronti di uno “debole” (la vittima) in modo intenzionale e ripetuto nel tempo.

Le aggressioni possono essere di tre tipi:
  • fisiche: calci, pugni, sottrazione di beni;
  • verbali: minacce, offese, insulti, prese in giro;
  • psicologiche: esclusione, isolamento, diffusione di calunnie.
Il fenomeno riguarda maschi e femmine e si manifesta soprattutto in ambito scolastico, ma anche in strada, nei locali, nei luoghi di ritrovo e su internet. In quest'ultimo caso si parla di "cyber-bullismo" o "bullismo informatico".

E' importante sottolineare che si può parlare di bullismo solo quando questi episodi sono eseguiti da un soggetto più forte (per età, forza fisica od aggressività), sono intenzionali e ripetuti nel tempo.
Ad esempio non sono bulli due compagni di scuola che si litigano il posto in ultima fila sul pullman durante una gita, e magari vengono alle mani. Così come non è un bullo il colpevole di un furto.


GLI ATTORI DEL DRAMMA.

Il bullismo non è mai qualcosa che riguarda due persone che non si vanno a genio, ma coinvolge tutto il gruppo, la classe o l’ambito degli amici. Oltre al carnefice principale, il "bullo-capo", quello con più carisma, esistono dei "gregari" che di fatto costituiscono il gruppo di bulli e che sotto l’influenza del bullo-capo agiscono in modo prepotente.
Senza il bullo-capo non ci sarebbero i gregari, ma è vero anche il contrario: il bullo principale ha bisogno dei suoi scagnozzi, senza i quali non si sentirebbe così invincibile.
Chi ha assistito (o ha subìto) degli atti di bullismo se ne sarà accorto subito: quando il bullo è da solo non si comporta in modo tanto spavaldo come quando è spalleggiato.

Ricordate: la solitudine fa il bullo innocuo.

Ma torniamo agli altri “attori” dell’atto di bullismo. Accanto a coloro che si accaniscono sulla vittima ci sono anche i "sostenitori", cioè dei ragazzi che simpatizzano per i carnefici ma non prendono attivamente parte all’aggressione. Sono quelli che più ci fanno arrabbiare, si comportano da codardi, tifano per la squadra che vince facilmente.
Ci sono poi "i qualunquisti", cioè quelli che ignorano la scena e che, di fatto, fanno il gioco dei prepotenti.Tutta questa gente, dunque, è a favore, diretto o indiretto, dei bulli.
E la povera vittima? Non ci sono grandi sostenitori per lui, al massimo dei simpatizzanti che, senza farsi troppo notare per paura di finire sotto le grinfie dei bulli, stanno con la vittima, almeno con il cuore.


RAPPORTI PERVERSI.

Diversi studi psicologici e sociali hanno confermato quello che nel campo dell'autodifesa si sa da sempre e cioè che spesso la vittima e il carnefice in qualche modo "si scelgono”. Si è visto infatti che le vittime privilegiate sono spesso soggetti tendenti ad un carattere timido e introverso, soggetti insicuri e ansiosi, con un basso livello di autostima, che non sono assertivi e non sanno difendersi (ovvero: sono vittime passive).
Altri tipi di vittime hanno invece un carattere che non solo rispecchia quello delle vittime passive, ma anche quello dei bulli. Avendo un carattere “combinato” tra una tendenza passiva e l’altra reattiva e provocatrice, diventano una volta vittime e l’altra bulli, riproponendo con altri ciò che loro stessi subiscono.

Il bullo viene così attirato da coloro che reputa in qualche modo indifesi e li sottomette, ma è importante sottolineare che:

NON è la vittima a provocare in qualche modo il bullo, ma è quest’ultimo che viene “stimolato” proprio dall’isolamento dell’altro bambino, dalla sua apparente debolezza e dal comportamento insicuro percepito.


RICONOSCERE LE VITTIME DI BULLISMO.

Nonostante i quotidiani  fatti di cronaca,  il bullismo rimane ancora un fenomeno sconosciuto a molte famiglie. Ciò che la maggior parte dei genitori ignora non è tanto l’esistenza del problema sociale in sé, quanto il fatto che il disagio potrebbe riguardare da vicino il proprio figlio o la propria figlia.

Le vittime dei soprusi, infatti, parlano raramente con gli adulti delle violenze che subiscono. Si chiudono in se stessi, esitano a raccontare le proprie giornate, sorvolano su quei fatti che per loro rappresentano una perenne condizione di sofferenza. La ragione più evidente è che hanno paura di subire maggiori violenze per aver “fatto la spia”.

Ma a ciò si associa quasi sempre un motivo ben più sottile e per questo più difficile da superare: i bambini vittime del bullismo si vergognano della propria debolezza, di non saper reagire, di essere il bersaglio preferito di quei ragazzi che tutti considerano dei leader e, non ultimo, di essere “quel che sono”: bambini cicciottelli o occhialuti finiscono il più delle volte ad attribuire alla propria condizione fisica la responsabilità di ciò che avviene e a rivolgere per questo verso se stessi la propria rabbia.

Come dire: “sono diverso dagli altri ed è per questo che finisco vittima del bullo della scuola”. Ciò che invece i ragazzi devono imparare è che non c’è nulla che non va in loro: il bullismo è un comportamento sbagliato “a prescindere”.

Ecco allora che l’intervento della famiglia diviene determinante. Mamme e papà devono imparare a comprendere il proprio figlio più di quanto egli sappia fare da solo. Per riconoscere i segnali di un eventuale disagio, per evitare che rimanga vittima del fenomeno. Ma anche per impedire che a trasformarsi in “bullo” possa essere un giorno proprio il loro bambino.

Nel prossimo post vedremo quali sono i segnali tipici delle vittime di bullismo.

lunedì 1 settembre 2014

Armi, arti marziali e dobermann...


È sorprendente notare quanta confusione, disinformazione e false convinzioni girino attorno al concetto, apparentemente semplice, di “Autodifesa”. Capita che degli amici o dei clienti mi facciano delle domande che sottolineano questa confusione:

«Qual'è la miglior arte marziale per l'autodifesa?»

«Vorrei comprare un arma per difendere me e la mia famiglia, cosa mi consigli?»

Queste domande sono involontariamente “tendenziose”, in quanto si basano su ciò che una persona PENSA di conoscere su questi argomenti, ma che in realtà non conosce affatto. Di solito, rispondo sempre con un'altra domanda e cioè:

«Difenderti da chi e da che cosa?»

E già qui si apre un universo di possibilità che possono avere tutto o niente in comune.

«Stai parlando di un rapinatore da strada? Di uno scippatore? Di uno stalker? Di un ubriaco molesto? Oppure tua moglie sta subendo pesanti molestie da parte del suo capo o del suo datore di lavoro? O forse tua sorella è sistematicamente picchiata dal marito o tuo figlio sta subendo del bullismo durante la scuola?».

Tutti questi casi (e molti altri) accadono giornalmente dappertutto e in tutti loro si può parlare sia di violenza che di autodifesa, ma ognuno di essi è diverso, presenta problematiche diverse e va affrontato in modo diverso. Nell'autodifesa (così come in tutte le faccende di questo mondo) non esiste un unico strumento che risolva tutti i problemi, le panacee sono state inventate dagli imbroglioni solamente per vendere i loro intrugli a grulli ed illusi.

Le panacee però fanno gola, sono invitanti, come il richiamo delle sirene. Se poi alla panacea mischiamo un po' di false convinzioni, di illusioni e di disinformazione e condiamo il tutto con qualche slogan invitante, ecco che abbiamo in mano un potente strumento di pubblicità e di marketing.

Diventa l'incubo del tuo aggressore!”... “Mai più vittima!”... “Col nostro corso diventerai TU il predatore!”

Questi slogan sono tipici di molti corsi di autodifesa basati quasi esclusivamente su una risposta di tipo “fisico” al crimine e alla violenza: arti marziali, armi e gingilli più meno efficaci e più meno legali, cani feroci... Ma questo tipo di risposta è molto limitata, parziale, pericolosa e sostanzialmente fallimentare.


Se siete una ragazza e il vostro capo vi molesta pesantemente che cosa volete fargli? Gli fate un presa giapponese e gli spezzate un braccio? Gli spruzzate del capsicum negli occhi? Gli aizzate contro la vostra coppia di doberman addestrati ad uccidere? Gli rompete la testa col vostro nuovo bastone estensibile in policarbonato leggero (garantito indeformabile, tecnologia NASA®)?
Anche se moralmente posso darvi ragione e il tipastro se le meriterebbe tutte, queste soluzioni sono ovviamente impraticabili e soprattutto illegali. È evidente che esiste un'enorme sproporzione fra offesa e difesa e come minimo vi chiuderebbero in galera.

Altro esempio: se un rapinatore vi punta addosso una pistola per avere portafoglio e telefonino, cosa fate?
Magari potete tentare quelle bellissime tecniche di disarmo, dove il “maestro” faceva un semplice movimento e... Oplà! Disarmava il rapinatore e poi gli dava un bel sacco di legnate. Oppure potreste tentare un doppio calcio rotante con avvitamento o una “presa incrociata con strangolamento laterale” della lotta afro-mongola.

Belle da vedere queste tecniche... Nel clima tranquillo e sicuro della palestra... Col “rapinatore” che si comporta come un ritardato mentale e si lascia fare tutto quello che volete... Si, insomma, sembra abbastanza facile.
Personalmente, dopo trent'anni di arti marziali e di autodifesa, gli consegnerei velocemente quello che vuole, senza tante discussioni! Telefonini ne faranno altri e quanto ai soldi... Pazienza anche per quelli, anche se per quel mese dovrò stringere un po' la cintura. Di pelle invece ne ho una sola, che diamine!
Il “maestro” del super corso di tecniche militari israelo-filippine resterà deluso da questa “vigliaccheria da checche”, ma pazienza, gli passerà.

Proprio l'altro giorno, un'amica mi ha detto di essersi comprata una bomboletta di spray al capsicum. «Non si sa mai», mi ha detto, «Ultimamente mi sono capitate alcune "strizze" e allora ho deciso di prendere le mie precauzioni!»

«Magnifico!» Gli ho risposto. «Posso dargli un'occhiata?».
«Ma certo!» Mi fa lei «Aspetta un secondo...» Ed ha cominciato a frugare fra le centinaia di cose che solo una donna riesce a far stare in una borsetta.

«No, qua non c'è... Aspetta... Forse l'ho messo nella tasca interna... No... Ah, eccolo!»  

Cinquantotto secondi.
Questo è il tempo che mi sono divertito a cronometrare. E solo per trovare la bomboletta, poi questa va estratta, puntata e soprattutto va tolta la sicura.

«Sicura? Quale sicura?» ha candidamente chiesto la mia amica.

Non oso pensare a cosa gli sarebbe servita la sua bella bomboletta in caso di aggressione. Altro che bomboletta, in borsetta poteva avere anche il bazooka e non gli sarebbe servito a niente!
Dal punto di vista psicologico, quest'acquisto era stato formidabile e lei si sentiva molto più tranquilla e sicura. Devo anche ammettere che ho provato anche un po' di senso di colpa dopo avergli distrutto queste certezze, ma questo è durato solo un attimo. Sono fermemente convinto che è MOLTO meglio avere un po' di sana paura piuttosto che cullarsi nell'illusione di una falsa sicurezza.

Dunque? Armi e arti e marziali non servono a nulla? Come si fa a difendersi allora?

Eh eh eh... Per la risposta si dovrà aspettare il prossimo post!


domenica 31 agosto 2014

Trasalire e sussultare.


In questo post si parlerà di sussulti e trasilimenti e per capire meglio di cosa si tratta, diamo un'occhiata al vocabolario Treccani:

sussultare: sobbalzare bruscamente, fare un balzo per spavento, gioia o altra improvvisa emozione.
Esempi: vedendo un’ombra muoversi, sussultò; sussultava in preda a un riso irrefrenabile; all’udire quel grido sussultò d’improvviso spavento.

trasalire: sobbalzare di una persona che ha un sussulto improvviso per emozione, spavento e simili.
Esempi: al suono di quella voce trasalì; un rumore nella stanza accanto lo fece trasalire; le spalle di lei trasalirono in sussulto nervoso (Fogazzaro).

Dal punto di vista fisiologico, il trasalimento o sussulto, è un riflesso involontario che consiste in una serie di spasmi muscolari velocissimi in risposta a un rumore improvviso e intenso o a una visione inaspettata.
Quest'attività riguarda il tronco celebrale, la parte più antica e rettiliana del nostro cervello ed è quindi, come le altre attività che interessano questa zona, impossibile regolarla volontariamente.

Già negli anni '80, un giovane istruttore statunitense, Toni Blauer, cominciò a fare delle ricerche sul modo di sfruttare l'effetto di trasalimento nella difesa personale e riuscì a mettere a punto un sistema valido ancor oggi che chiamò SPEAR (lancia). Il metodo di Blauer ha aggiunto una nuova "arma" all'arsenale di chi vuole imparare a difendersi ed è stato un punto di partenza per vari sistemi che sfruttano gli stessi principi.

In pratica, il metodo di Blauer consiste nel modificare i normali gesti istintivi che il nostro corpo esegue durante un trasalimento, rendendoli più efficaci, più idonei a difendersi e a reagire. Questo si ottiene imparando ed allenando una particolare postura del corpo che Blauer chiamò, appunto, SPEAR.

Il "segreto" di questo metodo sta nello sfruttare l'elevatissima velocità data dalla reazione naturale del trasalimento che è nettamente superiore a qualsiasi altra reazione che implica l'utilizzo della razionalità o della memoria muscolare (vedi: arti marziali!).
La cosa fondamentale è che i gesti istintivi del corpo vanno modificati solo leggermente, altrimenti entreranno in gioco la mente razionale o la memoria muscolare e il sistema non sarà più così efficace.
Ma quali sono questi gesti istintivi? Vediamone un esempio con l'aiuto dello stesso Blauer (a destra nelle foto, in maglietta nera):


Foto 1: vediamo la tipica discussione animata che può avvenire per i più svariati  motivi (ad esempio per una mancata precedenza o per motivi di parcheggio). I toni cominciano a farsi accesi e cominciano a volare parole pesanti e minacce...


Foto 2 e 3: a un certo punto l'uomo alla sinistra dà inizio alla violenza e fa scattare un pugno verso la testa di Tony. In questi casi, la reazione istintiva è immediata e naturale e consiste nel piegarsi all'indietro, sollevare le mani e spingerle in avanti (per cercare di proteggere la testa), "incassare" la testa fra le spalle e infine girarla di lato, o addirittura all'indietro.

Foto 4: questo però non è sufficiente e il colpo arriva pesantemente nella testa della persona aggredita.

Quella che è venuta a mancare, dunque, non è stata la velocità, il corpo di Tony ha reagito AUTOMATICAMENTE ed ISTANTANEAMENTE alla minaccia, quella che è mancata è stata l'efficacia. Con la sua "tecnica speciale" Blauer ha dato efficacia al movimento istintivo del sussultare (o trasalire).

Anche nel nostro metodo si sfruttano i principi adottati da Tony, ma con un metodo e una postura diversi dallo SPEAR. Il nostro "Brocchiere "(*) offre una maggior copertura difensiva ed è più aggressivo, in quanto all'efficacia della parata aggiunge, lo shock (anche psicologico) di un violento ed immediato contro-colpo.



(*) Il brocchiere era un piccolo scudo metallico, utilizzato assieme alla spada durante il primo rinascimento e la cui caratteristica era quella di avere una puntazza o un grosso chiodo nel centro (una "brocca", appunto).
Con il brocchiere, dunque, si parava e si contrattaccava allo stesso tempo.

venerdì 29 agosto 2014

Come evitare la Trappola per Topi.

In una persona civile la violenza è lontana anni luce dai suoi normali schemi mentali, talmente lontana che un'improvvisa aggressione la coglierà completamente impreparata, innescando quella perniciosa serie di reazioni psicologiche che ho chiamato Trappola per Topi.

Nel post precedente abbiamo visto che il primo sentimento che si prova in questi casi è quello dell'incredulità: ci rifiutiamo cioè di credere che l'individuo che abbiamo di fronte stia VERAMENTE ricorrendo alla violenza.

Se vogliamo difenderci, se non vogliamo cacciarci senza scampo in quella dannata trappola per topi e diventare delle vittime predestinate, la prima cosa che dobbiamo fare è quella di crederci e mettersi bene in testa che:

Si, quest'individuo intende VERAMENTE ricorrere alla violenza e dobbiamo fare SUBITO qualcosa per evitarlo.

Questo primo, semplice pensiero è estremamente utilile perchè ci aiuta a toglierci ogni illusione, a prendere gradulamente il controllo della situazione e a non porci in un atteggiamento passivo e vittimistico fin dall'inizio.

Questo "adattamento" però, questo "cambio di marcia" che dobbiamo fare nella nostra mente, richiede una certa quantità di tempo, più o meno lungo, a seconda delle nostre caratteristiche individuali e del nostro addestramento.

Per affrontare questi casi, il S.I.A. insegna un metodo costituito da tattiche verbali, atteggiamenti fisici e tecniche di respirazione che ci permetterà di crearci un "margine" di tempo e di spazio per prepararci a reagire con efficacia e ad incanalare la nostra rabbia/paura verso azioni positive e finalizzate alla tutela della nostra sicurezza.

In particolare, viene insegnata una postura corporea difensiva/offensiva, chiamata "Brocchiere" che va assunta nel caso si venga colti di sorpresa, oppure quando l'aggressore - per nostri errori o altro - sia molto vicino a noi.
Il Brocchiere è stato studiato per offrire i seguenti vantaggi:
  1. protegge - all'istante! - la testa e il corpo da attacchi provenienti da qualsiasi direzione;
  2. ci permette di non essere travolti da un assalitore che si butta con veemenza su di noi;
  3. sfrutta in maniera scientifica i movimenti istintivi che il corpo esegue automaticamente di fronte a una minaccia improvvisa;
  4. ci permette di sorprendere l'aggressore con una reazione inaspettata, in quanto è, contemporaneamente, anche un contrattacco;
  5. ci permette di proseguire velocemente e con la massima efficacia con altri colpi e tecniche;
  6. innesca una serie di meccanismi neuro-muscolari che portano la nostra mente ad assumere un atteggiamento attivo e positivo;
Il tutto verrà poi provato ed allenato tramite specifici Giochi di Ruolo (Role Playing e Situational Games) che "immergono" l'allievo nelle più tipiche situazioni di tensione, con il massimo realismo possibile.

Sapere come agirà un aggressore, il saper cosa fare e come comportarsi, l'imparare a reagire velocemente, attivamente e con positività, ci daranno un aiuto inestimabile per proteggerci con successo da qualsiasi tipo di aggressione.

giovedì 28 agosto 2014

La Trappola per Topi.


Quella che io chiamo “la Trappola per Topi” è particolare processo psicologico che subiscono le persone durante un'aggressione fisica.
In questo post cercherò di descrivere quest'importante processo nel modo più generico e semplice possibile.

Le occasioni di subire un'aggressione fisica sono molto più numerose e frequenti di quanto si immagini e di solito avvengono nei momenti più inaspettati e sconvenienti.
È molto più facile di quanto si crede e talvolta una banale discussione, uno scambio di battute, un incontro casuale, uno sguardo troppo prolungato o persino un incontro amoroso si possono trasformare - in un tempo incredibilmente breve! - in un incubo che ci segnerà l'esistenza.

Il primo sentimento che di solito passa per la testa della vittima è l'incredulità. Il pensiero più frequente fa all'incirca così: «Non è possibile che questa cosa stia capitando PROPRIO a me!».
Fino a pochi secondi fa eravate nella più completa e tranquilla normalità e adesso state precipitando in un incubo assurdo, in una di quelle situazioni che si vedono solo nei film o nei telegiornali e che capitano sempre agli altri.
«Non a me!», «Mi rifiuto di crederci, NON A ME!...».

Il sentimento successivo è quello di arrabbiarsi con se stessi per essersi lasciati coinvolgere, oppure per esser caduti ingenuamente in trappola. «Come posso essere stato così idiota?», «Perché non me ne sono andato per la mia strada?», «Ma chi me l'ha fatto fare di fermarmi/discutere/rispondere/litigare/fidarmi? (mettete voi la vostra opzione)».

Per completare il quadretto, aggiungiamoci anche l'impossibilità di allontanarsi o di fuggire. Vuoi per questioni di “ego” (un maschietto non vuole mai fare la figura del “vigliacco”, specialmente se è assieme a una femminuccia!), vuoi per l'effetto paralizzante della paura, o vuoi perché è oggettivamente impossibile.

Proseguendo nella scaletta delle emozioni, ecco che compare prepotentemente il desiderio di non essere più lì. Vorreste sparire, andarvene a casa vostra o in qualsiasi altro posto purché sia lontano anni luce da quell'assurda situazione e da quell'orco (o quegli orchi) cattivo che adesso vi trovate di fronte!
Fatto sta che la frittata ormai è fatta e non si può più tornare indietro, ecco perciò che entra in gioco l'ultimo, rassegnato pensiero: «Mio Dio, fa almeno che tutto questo finisca in fretta!».

Questo miscuglio di pensieri e sensazioni è poi amplificato dalla sorpresa e dalla paura che può essere più o meno intensa, a seconda della gravità della situazione e della “soglia di resistenza” individuale.
Una persona che non ha mai avuto a che fare con la violenza o con il crimine – quelli veri – potrebbe subire un vero e proprio attacco di panico, con tutti gli effetti disastrosi – immediati e futuri - che lo caratterizzano.

Nelle vittime di un'aggressione fisica, però, la reazione più frequente è il cosiddetto “congelamento”, ossia si rimane completamente bloccati ed incapaci di qualsiasi reazione, anche verbale. Il massimo che può fare una vittima “congelata” è di balbettare qualche parola inconsulta o di alzare timidamente le mani a protezione del viso, naturalmente senza la minima efficacia.

Anche se l'ho tirata un po' per le lunghe, tutto questo processo di pensieri ed emozioni si svolge in realtà in brevissimo tempo, dopo di ché la vittima finisce il completa balia del suo carnefice che ne potrà approfittare a suo piacimento. Questo di solito significa subire un pestaggio (più o meno grave), una rapina o uno stupro... Ma c'è anche di peggio.

Questo desolante processo di pensieri ed emozioni è quella che io chiamo “Trappola per Topi” in quanto, seppur involontariamente, ci mettiamo da soli in una situazione senza uscita e senza speranze.

Prima ancora che la violenza fisica abbia inizio noi avremo già assunto il ruolo di “vittima predestinata”. Siamo già dei tremanti agnellini davanti ad un lupo famelico, con l'ingenua e assurda speranza che se “faremo i bravi” e non reagiremo il lupo diventerà buono e ci lascerà in pace, oppure non infierirà più di tanto.
Saremo molto più preoccupati di non “far arrabbiare” il lupo che della nostra incolumità, che riteniamo ormai compromessa.

E' chiaro dunque che
L'autodifesa, la VERA autodifesa, è essenzialmente una questione mentale e psicologica, tutto il resto viene DOPO.

Non ci servirà a niente tempestare di pugni un sacco imbottito o un povero manichino, saranno perfettamente inutili le micidiali tecniche militari israelo-filippine, i terribili calci rotanti alla Chuck Norris e le invincibili prese segrete giapponesi, se prima non impareremo a conoscere ed evitare la Trappola per Topi.
Se però non cambiamo il nostro modo di pensare, di agire e di reagire, il nostro goloso cervello correrà inevitabilmente su quell'invitante pezzo di formaggio all'interno della gabbietta!

Non è semplice ed occorrono: pazienza, conoscenza, consapevolezza e soprattutto un METODO, altrimenti nessuna arma e nessuna tecnica di autodifesa potranno mai funzionare.

mercoledì 27 agosto 2014

Questioni di prossemica.

In linea con le più moderne tecniche di autodifesa, il nostro metodo prevede una rigorosa gestione della prossemica, cioè della distanza interpersonale.

Così come quando si guida l'automobile, anche nell'autodifesa la distanza è sicurezza.

Sembra una banalità, ma l'analisi della dinamica delle aggressioni rivela come questo fattore sia incredibilmente trascurato dalla maggior parte delle persone, anche da quelle addestrate negli sport da combattimento o nelle arti marziali.

Ciò che ci ha sorpresi di più, in tutte le aggressioni analizzate, è la facilità con cui l'aggressore si è avvicinato alla vittima e come quest'ultima abbia fatto poco o niente per impedirlo.

Se un individuo di cui non conosciamo le intenzioni ci arriva a 50 centimetri, è chiaro che abbiamo un problema. Un GROSSO problema.

Il corpo umano ha l'insanabile difetto della lentezza delle reazioni e da questa distanza, chi prende l'iniziativa di colpire per primo ha le massime chances di riuscirci in modo risolutivo.
La stragrande maggioranza delle aggressioni che abbiamo analizzato si risolveva con un unico, potente colpo da KO, sferrato da breve o brevissima distanza.
Da ciò ne consegue, ai fini della nostra tutela personale, di evitare in tutti i modi che persone sconosciute, sospette o francamente ostili ci si avvicinino oltre un certo limite di sicurezza. Cosa non facile perché:
  • Le persone con intento ostile, spesse volte dissimulano le loro intenzioni avvicinandosi in modo subdolo, con una scusa plausibile come quella di chiedere l'ora, l'indicazione di una via o qualche spicciolo.
  • Le persone che manifestano fin da subito le loro intenzioni, spesso aggrediscono in modo irruente, percorrendo in un attimo la distanza che ci separa ed arrivando subito a contatto.
 La maggior parte delle persone non è allenata a riconoscere la distanza di pericolo e lasciano che questa venga valicata senza reagire oppure reagendo troppo tardi.

Il motivo per cui tanta gente viene picchiata con facilità risiede dunque, oltre che in un'inadeguata preparazione psicologica, anche nella scarsa dimestichezza con una corretta gestione della distanza. Eppure questa dovrebbe essere alla base di ogni serio sistema di autodifesa


A cosa serve, allora, l'aver trascorso anni ad allenare fantasmagorici calci rotanti alla Chuck Norris o a scolpirci addominali e bicipiti da gladiatore, se al momento del bisogno un qualsiasi balordo può sorprenderci e strapazzarci come se niente fosse?  ;-)
 
La distanza fisica, inoltre, non è solo un elemento tattico di enorme importanza, ma anche un ingrediente importantissimo delle informazioni che emettiamo tramite il linguaggio del corpo.
Se incontriamo un tipo sospetto e quello si avvicina per chiedere l'ora, indietreggiare troppo è un messaggio inequivocabile di paura, ma rimanere fermi senza far nulla è comunque sbagliato: denota ingenuità ed impreparazione.
Ecco dunque la necessità di imparare a gestire in maniera pratica e affidabile la distanza interpersonale e di saper far fronte con successo agli astuti tentativi degli aggressori più "scafati" di chiudere le distanza per poterci sopraffare.

giovedì 21 agosto 2014

Kampfringen.


Il Kampfringen, o "Lotta di guerra" è il metodo di lotta a mani nude che adottavano i cavalieri medievali del Sacro Romano Impero.
Questo metodo era diverso dal più conosciuto Ringen (o "lotta per giocare", una disciplina simile allo sport olimpico della lotta libera) perchè veniva adottato in guerra o nei duelli.
Al contrario del Ringen, il Kampfringen faceva largo uso di percussioni date con mani, piedi, ginocchia e gomiti nonchè di tecniche "sleali" come le testate, le ditate negli occhi, i colpi dove non batte il sole e numerosi altri "sporchi trucchi".

Le fonti più complete ed esaurienti sono due antichi manoscritti risalenti agli anni 1410 e 1435: il "Codice di Wallerstein" e lo "MS. chart.A.558", dove le tecniche del Kampfringen sono ampiamente descritte ed illustrate.

Come i loro "colleghi" giapponesi, i guerrieri medievali avevano ben compreso la terribile efficacia dei colpi dati col taglio della mano e li usavano estesamente.

Nonostante risalga ad oltre 600 anni fa, questo metodo di autodifesa è sorprendentemente "attuale" sia nelle tecniche che nelle tattiche ed ha molti punti in comune con i moderni metodi di close-combat militare.
Veloce, intuitivo ed estremamente efficace, il Kampfringen può essere un'efficace risposta a qualsiasi esigenza di autodifesa fisica.

Una delle caratteristiche più notevoli del Kampfringen è il sistematico utilizzo degli attacchi preventivi (Präventivschlägen) dove, prima di colpire, si immobilizzano uno o più arti dell'avversario per impedirgli qualsiasi difesa o contrattacco.

L'aggressore stava per attaccare con un colpo col taglio della mano, così il difensore lo anticipa afferrandogli le gambe e colpendolo allo stomaco con una testata. La violenza del colpo e la rovinosa caduta sulla schiena, renderranno immediatamente innocuo l'aggressore

I colpi e le percussioni, pur essendo potenzialmente devastanti, servono principalmente a preparare la strada alle tecniche di lotta vera e propria, dove l'avversario viene rovinosamente atterrato, oppure immobilizzato con delle dolorose chiavi articolari.
Queso rende il Kampfringen particolarmente adatto alle forze di polizia o agli addetti alla sicurezza, in quanto permette di graduare l'utilizzo della forza, per neutralizzare facilmente un soggetto senza procurargli gravi lesioni.



martedì 19 agosto 2014

Due chiacchiere su conoscenza, consapevolezza, predatori e prede.



Come ho più volte scritto:

Oltre il 90% delle situazioni a rischio di aggressione può essere risolto
in maniera pacifica e senza rischi, a patto di avere le opportune conoscenze e mettendo in atto i giusti comportamenti.

Come recita un vecchio adagio: "sapere è potere", quindi alla base del nostro corso di auto-protezione c'è la conoscenza.

Conoscenza innanzitutto del "nemico", cioè di ciò che è realmente la violenza, come nasce e come si sviluppa. Conoscenza di come agiscono i criminali e le persone violente, i loro trucchi ed espedienti, i loro rituali e le loro strategie. Conoscenza di quali sono i luoghi e le situazioni a rischio. Conoscenza di come si sviluppano i crimini violenti e le aggressioni... E via discorrendo.

Tutto sommato le prime lezioni trascorrono abbastanza piacevolmente e in completo relax, ma già queste prime nozioni cominciano a produrre i primi cambiamenti nel nostro modo di pensare e di agire, specialmente quando ci rendiamo conto che molti dei nostri comportamenti che fino ad allora ritenevamo perfettamente normali, sono in realtà potenzialmente pericolosi. Alcuni di questi, poi, sono ALTAMENTE pericolosi e ci mettono nello scomodo ruolo di "potenziale vittima designata".

Le lezioni successive riguardano invece un altro cardine dell'autoprotezione e cioè la consapevolezza.

Indipendentemente dalle motivazioni che le spingono ad agire, tutte le persone violente sono innanzitutto dei predatori, si comportano cioè allo stesso modo dei predatori del regno animale.

Una caratteristica che accomuna tutti i predatori - compresi quelli umani! - è che essi non scelgono mai le proprie vittime a caso, ma si avventano sempre sulle vittime che ritengono "più facili".
Potendo scegliere, il leone non si avventerà mai contro un esemplare adulto e nel pieno delle forze, ma preferirà i cuccioli, quelli ammalati o feriti, oppure quelli più vecchi.
Oltre a queste caratteristiche, però, ce n'è un'altra che rende "facile" una potenziale preda e cioè la possibilità di sorprenderla.

Quando una vittima viene colta di sorpresa, completamente impreparata, sarà spacciata nella maggior parte dei casi, indipendentemente dalla sua forza e dalla sua abilità.

Quante volte ci capita, quando guidiamo la macchina, oppure quando passeggiamo per la città, di essere assorti nei nostri pensieri? Fisicamente stiamo facendo una cosa e siamo in un determinato luogo, ma con la mente siamo "altrove". Questa situazione è quella che definiamo come "essere sovra pensiero". Magari stiamo osservando distrattamente una vetrina, ma con la mente siamo da tutt'altra parte. Forse stiamo ricordando qualche episodio che ci è capitato nell'ultimo week-end, oppure stiamo pensando alle bollette da pagare o a qualche problema lavorativo... Fatto sta che quando siamo in questo stato mentale siamo completamente inconsapevoli di ciò che facciamo e di ciò che ci circonda in quel momento, non siamo "qui e adesso", con la mente siamo "sfasati" spazialmente e temporalmente.
Questa sfasatura è tipicamente umana e diffusa ma è anche molto pericolosa perchè è quando siamo in questo stato mentale che ci succedono gli incidenti.
In alcuni contesti gli incidenti possono essere innocui, ad esempio se stiamo passeggiando il massimo che ci potrà succedere sarà di urtare un passante, ma già se siamo in macchina le cose potrebbero diventare più serie e pericolose!
Anche nel campo della sicurezza personale questo stato mentale è pericoloso, perlomeno in determinati contesti, perchè i potenziali predatori riconoscono subito una persona "sopra pensiero" e la catalogano immediatamente come "potenziale bersaglio".
Sarà facile sorpendere una persona in questo stato e sarà facile procurargli uno shock aggiuntivo che la renderà incapace di qualsiasi reazione.



La scelta delle vittime "più facili" è dettata dall'istinto, negli animali così come negli uomini e a tal proposito è interessantissimo l'esperimento eseguito nei primi anni '90 da alcuni criminologi statunitensi.

I ricercatori hanno innanzitutto filmato, per alcuni minuti, l'interno di un centro commerciale pieno di gente.
Il filmato è stato poi mostrato a diversi criminali incarcerati per crimini violenti, quali: scippatori, bulli, rapinatori da strada, stupratori ed assassini seriali, ecc... Che avevano il compito di indicare quali persone avrebbero scelto come vittime per i loro crimini.

I risultati sono stati sorprendenti: in più del 85% dei casi i criminali avevano le scelto le stesse identiche persone!

Naturalmente non dobbiamo essere sempre in costante stato di attenzione - andremmo facilmente in paranoia! - per questo nel corso si imparerà: quando, come e dove si dovrà prestare una particolare attenzione all'ambiente e alle persone che ci circondano.
Ancor più importante: impareremo verso CHI e COSA rivolgere la nostra attenzione. Una volta fatta questa verifica, potremo tranquillamente tornare ai nostri pensieri e avremo "perso" solamente alcuni istanti del nostro prezioso tempo.

E' un po' come quando si attraversa la strada. Prima di farlo, una persona prudente interromperà le proprie occupazioni e i propri pensieri e si accerterà che non stiano arrivando macchine poi, una volta attraversata la strada, ritornerà tranquillamente alle sue faccende.

domenica 17 agosto 2014


Ecco le specifiche di alcuni dei nostri corsi principali...

Programma "Fast Combat".
(8 hours and combat ready!)

Il corso basico è basato sul programma adottato dal Col. Fairbairn per gli agenti dello Special Operation Executive (S.O.E.) e dello Office of Strategic Service (O.S.S.) durante la Seconda Guerra Mondiale.
Si tratta di un corso molto condensato e breve, ma COMPLETO, estremamente efficace e soprattutto testato ed affinato in centinaia di operazioni reali.

  • Come posizionarsi, muoversi, gestire la distanza e che postura assumere;
  • come, dove e quando attaccare;
  • le "zone bersaglio" del Gutterfigting;
  • i Quattro di Fairbairn (queste sono le prime quattro tecniche del Gutterfighting, considerate da W.E. Fairbairn, come i colpi di base "più essenziali". Si tratta di un "mini-sistema" completo di combattimento disarmato corpo a corpo, una volta padroneggiato);
  • combinazioni con le tecniche di base;
  • tecniche di inganno e sorpresa;
  • acquisizione della mentalità offensiva;
  • come applicare le tecniche (la strategia e le tattiche del sistema);
  • lavoro di gambe del Gutterfighting;
  • come proteggersi;
  • come esercitarsi;

Programma per il Corso di Base.

Il Corso di Base comprende il programma del Fast Combat, ampliato ed approfondito, con in aggiunta:

apprendimento degli altri colpi compresi nel sistema;
metodologia per la selezione delle 10 tecniche più adatte per ognuno;
tecniche di parata;
liberazione da prese al corpo e agli arti;
prese, atterramenti e strangolamenti;
combinazioni avanzate, con il completo repertorio delle tecniche;
come cadere senza farsi male;
come difendersi e reagire quando si è a terra;


Corsi specialistici.
Corsi specializzati su argomenti specifici, molti dei quali di carattere professionale (per forze dell'ordine, guardie private e personale militare).


  • Tecniche di immobilizzazione e neutralizzazione (per tutti).
  • Tecniche per il trattamento di soggetti non collaborativi (per forze dell'ordine e militari).
  • Tecniche di ritenzione dell'arma (per forze dell'ordine e militari).
  • Tecniche di controllo, perquisizione e ammanettamento sicuri (per forze dell'ordine e militari).
  • Tecniche di difesa contro armi da impatto (per tutti).
  • Tecniche difesa e disarmo contro armi bianche (per tutti); 
  • Tecniche di disarmo per armi corte (per tutti);
  • Tecniche di difesa e disarmo contro armi lunghe (per forze dell'ordine e militari);
  • Tecniche di attacco, difesa e immobilizzazione con bastone corto (manganelli, distanziatori, bastoni telescopici, ecc.) (per forze dell'ordine e militari).
  • Tecniche di Yawara e Kubotan (per tutti).
  • Spray tattico al capsicum (tipologia, legislazione, uso corretto e tattiche d'impiego). New!(per tutti).

Novembre: iniziano i corsi di Gutter fighting.


Il prossimo novembre inizieremo i corsi di autodifesa fisica con il Sistema di Fairbairn, conosciuto anche come Gutterfighting o Silent Killing.

Il  Metodo si basa sulle tecniche di close-combat militare sviluppate dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Le due figure principali nello sviluppo di queste "tecniche Commando" erano l'inglese W.E. Fairbairn e lo statunitense Rex Apllegate.
Tutte le loro tecniche sono state studiate per essere semplici, brutalmente efficace e veloci da imparare e padroneggiare. Dovevano, inoltre, essere facili da ricordare ed eseguire quando ci si trovava in condizioni estreme, dove si lottava letteralmente per la vita o la morte.
L'efficacia di questo sistema è diventata leggendaria e le sue tecniche istintive permettono di difendersi con efficacia anche se anziani, gracili o fuori forma e sono particolarmente indicate per l'autodifesa femminile.
Si pensi che uno dei principali istruttori e promotori di questo metodo è un cieco (il sig. John Kary, della scuola "American Combatives" di Seattle che ha perso la vista nella guerra del Vietnam).

Il Metodo è stato aggiornato ed adattato per soddisfare le esigenze, le situazioni e circostanze della moderna società urbana ed ha una percentuale di successi senza paragoni.

Il Gutter fighting è stato progettato in primo luogo, in tutto ed esclusivamente per la sopravvivenza in casi di pericolo estremo, dove è in gioco la propria integrità fisica o la propria vita.  Non è uno sport e non è fitness, inoltre non ha nessuna finalità educativa, morale o "filosofica".
Le sue tecniche  non sono appariscenti, o graziose perchè sono progettate solamente per "demolire" un aggressore nel modo più semplice e più rapido possibile. Per questo motivo, il metodo dev'essere utilizzato solo per i casi estremi di legittima difesa, di se stessi o dei propri cari.

I corsi si svolgeranno esclusivamente in forma di Lezioni Private, per singoli o per gruppi composti al massimo da 10 persone.

Per ulteriori informazioni scrivere a: bobinskyincredibile@gmail.com.

giovedì 14 agosto 2014

Il Gutterfighting, cioè il metodo di autodifesa fisica che insegnamo nei nostri corsi, era inizialmente chiamato "Scientific Self Defense", cioè autodifesa scientifica. Il nome non era stato scelto a caso, ma derivava dal fatto che il suo ideatore, il colonnello inglese W.E. Fairbairn, applicò sistematicamente il metodo scientifico/sperimentale per l'ideazione, la selezione e la verifica pratica di ogni singola tecnica.

Il colonnello William Ewart Fairbairn

Fairbairn lavorò dal 1920 al 1938 come vice Commissario in quella che allora era la città più violenta del mondo (Shanghai, in Cina) ed aveva a disposizione circa 9000 poliziotti da utilizzare come "cavie".
Inizialmente, egli si avvalse della consulenza di alcuni medici militari che gli fornirono una lista di "punti vitali" del corpo umano, poi selezionò un certo numero di tecniche e di tattiche in base alla sua esperienza personale che insegnò ai propri uomini (Fairbairn era grande esperto di combattimento a mani nude ed era maestro di Judo, Ju-jitsu e Kung-fu).
Questi dovevano poi fare un dettagliato briefing dopo ogni scontro violento, permettendo così a Fairbairn e ai suoi collaboratori di verificare l'efficacia effettiva di ogni singola tecnica e di scartare quelle che non funzionavano od erano di difficile applicazione. Questi briefing, inoltre, fornivano preziose informazioni riguardo a quali tattiche e strategie adottare nelle diverse situazioni di scontro violento.

Il metodo di ricerca rigorosamente scientifico e la grande quantità di dati disponibili, permisero a Fairbairn di codificare, in pochi anni, un "sistema ideale" di lotta a distanza ravvicinata e di principi tecnico-tattici altamente innovativi che sintetizzò nel suo libro "Scientific Self Defense", pubblicato nel 1926.

Nel 1942 Fairbairn, che nel frattempo era andato in pensione, venne richiamato in servizio per istruire le truppe scelte dei Commandos, della Home Guard e dei Paracadutisti di Sua Maestà Britannica. Durante questo periodo Fairbairn continuò l'applicazione del metodo scientifico per affinare ulteriormente il suo sistema di lotta che adesso era orientato anche all'uccisione rapida e silenziosa degli avversari, tanto che l'esercito britannico lo denominò Silent-Killing, cioè uccisione silenziosa.
Le micidiali incursioni dei Commandos britannici  convinsero gli statunitensi a chiamare Fairbairn in America per istruire anche le loro truppe d'elite e gli agenti segreti da mandare in Europa. Fairbairn ebbe così modo istruire i Marine Raiders, la Brigata del Diavolo canadese, i Rangers e gli agenti segreti dello O.S.S. (Office of Strategic Center, il precursore della C.I.A.).
Fairbairn sintetizzò poi il suo metodo nel libro "Get though!", a cui seguì la pubblicazione del suo miglior allievo statunitense, il colonnello Rex Applegate, intitolata "Kill or get killed!", entrambi pubblicati nel 1943.



Il Metodo di Fairbairn era basato su una serie di principi allora rivoluzionari ed ancor oggi alla base dei migliori metodi di close-combat, quali: la mentalità fortemente aggressiva, l'utilizzo di un numero limitato di tecniche, la negazione del tempo di risposta dell'avversario, l'utilizzo dei movimenti intuitivi e grosso-motori, il trasferimento del peso corporeo nei colpi, il sovraccarico di stimoli all'avversario (per rallentarne i tempi di reazione), gli attacchi preventivi, l'uso della sorpresa e dell'inganno, ecc...

Dopo la guerra il Metodo di Fairbairn venne considerato troppo "drastico" per gli eserciti in tempo di pace e non venne più insegnato. Esso venne invece mantenuto in alcuni reparti d'elite e nel curriculum degli agenti segreti dello MI-5 inglese e della C.I.A. statunitense.

[1. continua]

martedì 12 agosto 2014

Krav-Maga?... No, thank you!

Da qualche anno si fa un gran parlare di questo sistema di autodifesa israeliano, adottato anche da numerose forze armate e di polizia, in primis quelle israeliane. Dunque sembrerebbe che il Krav-Maga sia IL sistema ideale per l'autodifesa, giusto? No, sbagliato!

Per prima cosa il Krav-Maga utilizzato dall'esercito israeliano è MOLTO diverso da quello insegnato alla gente comune nelle varie palestre commerciali.

Seconda cosa, il krav "civile" è troppo "situazionale" e ci sono semplicemente troppe scelte da fare in caso di aggressione, del tipo: "se lui vi afferra per il collo, voi dovete fare così e così, se vi da un pugno dovete fare cosà, se invece vi afferra per un braccio dovete fare costà...".
Questo tipo di approccio NON funziona in caso di un'aggressione reale. Come fa un povero cristo a ricordarsi tutte queste cose? E se l'aggressore fa qualcosa di diverso? Non si può avere una difesa separata se ti afferrano il polso, una difesa separata se ti afferrano la pistola (nel caso di forze dell'ordine), una difesa separata se ti afferrano la gola, una difesa separata se ti afferrano la giacca... 
Un approccio di questo genere viola inoltre una precisa regola fisiologica e cioè:

Il tempo necessario per reagire e prendere una decisione va al passo col numero di opzioni o di scelte che avete a disposizione. 
Più queste sono numerose e più lento sarà il tempo di reazione.

In caso di aggressione reale, poi, l'effetto dell'adrenalina vi manderà semplicemente in tilt!
Un famoso istruttore cino-americano (mi pare fosse un certo Bruce Lee) ebbe a dire: « Io non temo l'uomo che ha praticato 1.000 tecniche diverse, temo invece l'uomo che ha praticato una sola tecnica 1000 volte.». Come dargli torto?

Terza cosa, quasi tutte le tecniche del Krav "civile" utilizzano le abilità motorie fini. Il problema è che questo tipo di tecniche funzionano perfettamente in palestra ma (purtroppo c'è sempre un ma a questo mondo!) NON funzioneranno in caso di un aggressione reale, quando avremo i livelli di noradrenalina alle stelle. Se qualcuno ha dei dubbi su questa lapidaria affermazione, può leggersi il mio vecchio post. Questa è semplicemente fisiologia e NESSUNO ne è immune.

Infine (anche se in realtà ci sarebbero diverse altre cose da dire), quasi tutte le lezioni partono pressapoco così: "L'aggressore vi tira un pugno...", oppure: "L'aggressore vi afferra per la gola...", ma da dove è sbucato questo aggressore, da una nuvoletta di fumo? Come ha fatto ad arrivare così vicino per afferrarvi? Perchè non è stato "abbattuto" prima di arrivarvi addosso? Come ha fatto ha violare così impunemente la vostra Zona Rossa? Evidentemente c'è qualcosa che non va in questo approccio...

Ultima ciliegina: un video pubblicitario di una palestra di Krav statunitense, dove si riassumono tutti gli errori concettuali che abbiamo visto finora.

Ah, un consiglio: NON cercate di applicare queste tecniche in caso di aggressione. Rischiereste di finire MOLTO male!

lunedì 11 agosto 2014

Piccole rapine quotidiane.


«Non capiterà mai a me, sono un tipo tranquillo e prudente, eppoi abito in una città tranquilla e nel mio quartiere c'è tutta gente per bene.»

«Nelle grandi città, forse, potrà anche capitare, ma qui da noi... Figuriamoci!»

«Non sono ricco, cosa volete che mi prendano? Al massimo la pensione o un centinaio di euro... No, non sono certo un buon bersaglio per i rapinatori!»

Questi sono alcuni dei commenti che si sentono in giro dopo la notizia di qualche scippo o rapina che ormai stanno diventando sempre più frequenti in tutta Italia e riassumono alcuni degli errati giudizi popolari riguardo a questi fastidiosi reati.

Tutti pensano che capiterà agli altri, in altre zone e in altri contesti, mentre in realtà il problema è ormai generalizzato e diffuso.
Molta gente pensa che i rapinatori preferiscano rivolgersi verso i luoghi dove ci sono tanti soldi, come le banche, le poste, le gioiellerie di lusso, ma in realtà non è così. Ormai questi posti sono protetti in maniera quasi "esagerata" ed è praticamente impossibile rapinarli.
Una rapina di così alto profilo richiede professionalità, meticolosa preparazione e pianificazione, calcolo dei rischi e degli imprevisti, notevoli capacità tecniche, intellettive e psicologiche... Insomma, questo è un compito che solo pochi e preparatissimi professionisti possono affrontare! La posta è alta, ma il rischio lo è ancora di più.

Molto più facili, invece, e molto meno meno rischiose, sono le "rapinette" da due soldi: i cento euro al passante, la borsetta alla signora, la pensione al vecchietto... Tanto più che questi reati sono penalmente poco rilevanti e con le leggi attuali, anche se la Polizia o i Carabinieri arrestassero i colpevoli, questi verrebbero prontamente rilasciati!

Queste rapine sono commesse sempre da piccoli delinquenti, drogati in astinenza, balordi, disperati... E questo le rende molto pericolose!
Ciò che accomuna quasi tutti gli eventi criminali di questo tipo è infatti la violenza, spesso gratuita!, l'agire in gruppo, oppure con la minaccia di armi di vario genere.

Il danno che si subisce in queste rapine non è tanto quello pecuniario, ma più che altro fisico e psicologico. Essere malmenati, picchiati, stuprate e in alcuni casi torturati (è successo proprio stanotte a Padova!) per qualche decina di euri fa davvero cascare le braccia. Eppure tutti questi crimini possono essere evitati e prevenuti... Se si sa come fare!

Le forze dell'ordine fanno quello che possono, ma è chiaro che non è più possibile delegare a loro la nostra sicurezza. Ognuno deve provvedere da sè alla propria incolumità e sicurezza! Questo, però, non vuol dire trasformarsi in "giustizieri" e girare armati fino ai denti per le vie della città!

La miglior forma di difendersi contro il crimine e la violenza è la prevenzione, cioè la messa in atto di una serie di misure, azioni, comportamenti e insegnamenti, utili a ridurre il rischio di essere coinvolti in simili eventi.

La prima prevenzione viene dalla conoscenza e purtroppo anche qui dobbiamo scontrarci con una desolante realtà: l'informazione è scarsa, frammentaria e spesso sbagliata o fuorviante. Le emozioni si mischiano alle polemiche e al pontificare pomposo di "tuttologi" ed esperti improvvisati che fanno più danni che altro, così il cittadino rimane confuso e senza indicazioni precise riguardo ad un sano e realistico comportamento preventivo.

Quello che manca è una cultura e una tecnica della sicurezza che permettano di affrontare il problema nella sua globalità e senza sconvolgere la nostra vita e le nostre abitudini e soprattutto senza farci vivere nella paranoia.

Oltre il 90% delle situazioni a rischio di aggressione può essere risolto in maniera pacifica e senza rischi, a patto di avere le opportune conoscenze e mettendo in atto i giusti comportamenti.

Il Metodo S.I.A. fornisce, appunto, queste conoscenze.


Per concludere, ecco alcuni estratti presi a caso dai giornali di oggi (ma ne ho tralasciati a decine!).
Ah, a proposito: conoscendo il Metodo S.I.A. TUTTE queste rapine si sarebbero potute facilmente evitare.

Dal sito: TRENTINO CORRIERE DELLE ALPI.
TRENTO, 11 agosto 2014.
Non riusciva a dormire e così ha deciso di farsi una passeggiata, ieri mattina verso le 6. Così è finito in via Gazzoletti. Immerso nei suoi pensieri quasi non si è accorto che tre giovani nordafricani lo avevano circondato. I tre gli hanno chiesto il portafoglio. Lui ha cercato di resistere, ma è stato spintonato e anche malmenato.

Il racconto dell’uomo è di quelli che mettono davvero timore. La sua è una disavventura che potrebbe capitare a chiunque si avventurasse in quella zona in ore non molte frequentate. L’uomo ha detto, appunto, che voleva fare una passeggiata. Ha aggiunto di essere sceso in strada all’albeggiare. Stava camminando per i fatti suoi quando è stato affrontato dai tre nordafricani. I tre lo hanno circondato e poi gli hanno chiesto il portafoglio. Il trentino ha cercato di fare resistenza. Ha provato ad accelerare il passo per sottrarsi a quella morsa tanto sgradita. Ma i tre non gli hanno dato scampo e lo hanno anche malmenato.

Dal sito: Roma Today
Eur, 11 agosto 2014. Accerchiato, aggredito e rapinato. Vittima un giovane romano di 24 anni preso di mira da un 'branco' di ragazzi all'alba di sabato 9 agosto. La rapina in viale America all'Eur poco prima delle 5 del mattino. Secondo quanto raccontato dalla vittima agli investigatori la rapina sarebbe stata compiuta da tre giovani con accento romano.

Dal sito: Il mattino di Padova.
PADOVA, 11 agosto 2014. Disabile dell’Arcella rapinato in casa: è accaduto in mattinata in via Ferrante Aporti, una laterale di via Saetta, a San Carlo. Un disabile di 74 anni è stato rapinato in casa e, secondo il suo racconto, anche malmenato. I malviventi gli hanno sottratto un orologio d’oro.
Sull’episodio stanno indagando i carabinieri di Padova.

Dal sito: La Gazzetta di Mantova.
BORGOFORTE, 11 agosto 2014. «Da un certo momento in poi non ricordo più nulla. Forse mi hanno colpito, o narcotizzato. So solo che appena mi sono ripreso ho visto quei due che si allontanavano e al collo non avevo più la catena». Valore commerciale cinquemila euro, affettivo infinito, «era un ricordo di mia madre». Gianni Ceresini è sconcertato, e arrabbiato con se stesso per essersi mostrato disponibile con i due uomini che l’hanno fermato con la scusa di chiedere un’informazione ma con l’intenzione di rapinarlo.

Dal sito Repubblica.it.
BOLOGNA, 11 agosto 2014. Un 83enne di Cavezzo, nel Modenese, è stato rapinato ieri sera, attorno alle 23, mentre stava rincasando da tre uomini che lo hanno spinto a terra mentre apriva la porta e poi lo hanno rinchiuso in bagno. Solo stamattina l'anziano è stato liberato da un passante.
I tre banditi avevano il viso coperto: l'anziano, prima di essere rinchiuso, ha consegnato il portafogli. I malviventi hanno poi rovistato nell'abitazione portando via anche un televisore.

domenica 10 agosto 2014

I Samurai occidentali.

In un precedente post avevo sottolineato quanto fossero sofisticati e terribilmente efficaci i metodi di combattimento a mani nude dei cavalieri medievali, ma la maggior parte delle persone conosce solo la parte ludica di queste tecnica, quella che poi si è evoluta nello sport olimpico della Lotta. I cavalieri, infatti, tenevano segrete le loro tecniche e in tutti gli antichi trattati gli autori raccamandano caldamente di non divulgarne le tecniche, specialmente ai contadini e ai borghesi.
Gli antichi chiamavano questa forma di lotta pacifica "Zoghi de' concordia" (giochi di concordia) ed infatti in essa venivano eliminate tutte le tecniche pericolose per i contendenti, ma quando si doveva lottare per la vita le cose cambiavano radicalmente e la Lucta (termine latino indicante la lotta a mani nude) diventava uno strumento micidiale.

Immagine tratta dal bellissimo "De Arte Athletica", anno 1480 circa.
Oltre che nelle numerose battaglie, guerre, guerricciole e scaramucce che costituivano la sua professione, il soldato di ventura doveva essere sempre pronto a fronteggiare agguati di sicari, banditi e briganti e ad usare la forza per difendere il suo onore, sia contro i suoi pari che contro qualche villico attaccabrighe. In questo caso le armi da guerra (lance, spade ad una e a due mani, mazze ferrate, ecc.) erano praticamente inutili ed acquistavano invece la massima importanza la Daga (un pugnale dalla lama lunga e sottile) e le tecniche di lotta a mani nude. Inutile dire che questi scontri erano particolarmente brevi, feroci e dall'esito quasi sempre mortale.


Negli scontri per la vita la Lucta, oltre alle prese, agli sgambetti e alle altre tecniche classiche, comprendeva calci, pugni, percosse, ginocchiate, testate e gomitate, punti di pressione, ecc. Insomma, un repertorio che non aveva niente da invidiare alle più sofisticate arti marziali orientali o ai moderni sport di combattimento, anzi!
Calci di ogni genere, colpi col taglio della mano, pugni a martello, gomitate, colpi col palmo della mano... Il tutto sapientemente combinato con prese, atterramenti, leve articolari ed altre tecniche "spacca ossa". Guardando gli antichi manuali italiani e tedeschi vien da pensare che cinesi e giapponesi siano passati da queste parti prima di inventare le loro arti marziali!

Come i loro colleghi giapponesi, gli antichi cavalieri europei avevano scoperto la terribile efficacia dei colpi eseguiti col taglio della mano e ne facevano largo uso.

Le tecniche della Lucta erano facili da eseguire, istintive e particolarmente efficaci, specialmente nella difesa contro gli attacchi di coltello, dove rimangono ancor oggi insuperate e migliori di molti metodi moderni.

Particolare tratto dal "Flos duellatorium", il manuale scritto da Fiore dei Liberi nel 1409.