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Flos Duellatorium - 1409 (Paul Getty's Museum) |
“Principiamo prima in nome de Dio e de Messer sant Zorzo de lo abrazare a pe a guadagnare le prese. Le prese non son guadagnade se le non son cum avantazo”
[Fiore de' Liberi, Magistro Scharmidore. 1409]
Da molti decenni noi leghiamo le cosiddette "arti marziali" all'oriente. Karate, Judo, Ju-jitsu, Kung-fu, Taekwondo, Muhay Thay, ecc. Sono i nomi che vengono in mente quando sentiamo parlare qualcuno di arti marziali.
Adesso vanno di moda le arti marziali miste, o MMA, oppure i sistemi filippini, ma sembra che l'autodifesa a mani nude sia un affare che non ha mai riguardato l'occidente.
Eppure, nelle accademie e nelle sale da scherma, fino al secolo scorso, gli schermidori si esercitavano nella pratica della cosiddetta "lotta a mani nude". Era questa una scuola dal forte sapore conservativo e vitale, composta da colpi sferrati con pugni al petto e al viso o da mazzolate, da calci a falcetto con la punta della scarpa o con il tallone, di prese e strette della lotta come la "rompibraccio" e di azioni finalizzanti in corpo a corpo che andavano dal colpire gli occhi, le articolazioni, fino all’uso dei gomiti e della testa per produrre effetti immediati nell’aggressore.
Nel corpo a corpo tecniche di gambetto, di stramazzo, di capofitto, potevano far precipitare al suolo l’avverso a subire una sfiatata, tecnica di percussione in caduta con le ginocchia sul tronco o sulla testa.
Da dove veniva questa forma completa di lotta e chi l’aveva tramandata fino al secolo a noi più vicino?
La tradizione italiana deriva dalla fusione delle tre grandi culture occidentali (celtica, latina e greca) che sono le genitrici feconde dell’Arte Marziale italiana. Tutti questi sistemi si fusero in quello che ai tempi dell'Impero Romano era il più avvincente spettacolo sportivo e cioè l'Arena dei Gladiatori.
La lotta dell'antica scuola italiana è pratica, temibile, essenziale, finalizzata alla pura conservazione della vita, eppure lo studio conferma la grande scienza pratica che ne dirige i principi e ne delinea le tecniche. Filippo Vadi, magistro pisano, nel suo Trattato del 1485 così ben riassume le finalità tecnico pratiche dell’Arte:
“Ma ciascuno omo dotto e adottato de bono ingegno, avanza e supedita qualunque sia più robusto di lui e più pieno di forze, iusta illud preclare dictum: ingenium superat vires...”
La scuola antica sarà ereditata e sarà tenuta in somma reputazione dai Maestri del Rinascimento che traghetteranno le conoscenze di generazione in generazione: possiamo ammirare metodiche di combattimento corpo a corpo in tutti i maggiori Trattati del Rinascimento e dei secoli successivi fino ai primi dell’Ottocento.
Conosciamo e studiamo quest’affascinante forma di lotta vitale grazie ai trattati antichi (FLOS DUELLATORUM, 1409 - DE ARTE GLADIATORIA DIMICANDI, 1485) in cui i magistri scharmidori con le loro lezioni ci rivelano e ci tramandano l’Arte di porre fine il prima possibile allo scontro. Così il magistro friulano Fiore dei Liberi ci insegna:
“Lo abrazar vol VII cose: zoè forteza presteza de pìe e de brazi e prese avantazade e roture e ligadure e percussiòn e lesiòn... “
La pratica a mani nude che ci tramanda è fatta di concretezza: dalla posizioni di guardia, nel trovar di braccia per guadagnare le prese ed intercettare le linee nemiche, ai guadagni per entrare nel gioco stretto con un repertorio di azioni che possono incuriosire il più smaliziato marzialista per la loro attualità.
Lo studio approfondito della scuola antica permette di sviluppare, una volta intercettate le linee, una serie di strategie che possiamo così riassumere:
prese avantazade e ligadure, azioni per imprigionare e intrappolare le braccia o le gambe avverse;
le roture, azioni applicate per rompere articolazioni e ossa “deboli” del corpo;
percussiòn, cioè serie di colpi portati con le mani, gomiti, ginocchia e piedi al corpo del nemico;
lesiòn, cioè tecniche per ledere con pressioni e strizzate parti molli del corpo (occhi, gola, orecchie, genitali, ecc...);
gambaròle, cioè sgambetti di vario genere;
capofitti;
stramazzi, azioni per proiettare, sbilanciare o far cadere l’aggressore in malo modo, prima o dopo averlo colpito.
Così a percussioni schermistiche con pugni al petto e al viso, pugni di stoccata, calci puntati e a falciuola, parate di incontrazione, cedute, arresti in tempo e in quarti, si affiancano tecniche dal sapore antico come distorsioni di dita, distorsioni di braccio, sbassi, svincoli con calcio, gambarole, stramazzi, rompibraccio, girocollo, prese di slogata, balestrate...
Il tutto a restituirci l’immagine di una disciplina che pur nel rigore della sala d’armi persegue il codice antico della pratica a mani nude dal forte sapore autoprotettivo.
La pratica delle Mani Libere, oltre che mezzo per rispondere con la competenza necessaria contro attacchi disarmati, era anche materia per conoscere ed esercitare la salvazione, cioè quell'insieme di strategie e tecniche vitali per sopravvivere ad attacchi di coltello (materia in cui la scuola italiana è tremendamente efficiente).
Dopo che sono trascorsi cinque secoli (di cui quasi due di completo oblio!) è ancora possibile diventare idealmente scholari del magistro Fiore, imparando un metodo di autodifesa elegante e scientifico sul piano tecnico, ma estremamente risoluto e drastico nell’applicazione dell’arte dei nostri avi.
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